Il fascino dell'America, terra di infinite opportunità e innumerevoli contraddizioni ne “Lo zoo di vetro” di Tennessee Williams, un testo emblematico del XX secolo che ritorna nell'Isola nella mise en scène di Progetto U.R.T./ Compagnia Jurij Ferrini da mercoledì 27 febbraio fino a domenica 3 marzo (da mercoledì a sabato alle 20.45, la domenica alle 19) al Teatro Massimo di Cagliari sotto le insegne del CeDAC per M'Illumino di Prosa/ la Stagione 2012-13, nell'ambito del XXXIII Circuito Teatrale Regionale Sardo. Nel cast, accanto a Jurij Ferrini, che firma anche la regia e interpreta il doppio ruolo di Tom e Jim, le attrici Alessandra Frabetti (Amanda) e Isabella Macchi (Laura).
Ritratto di una famiglia spezzata, all'ombra della Recessione, con una madre e i suoi due figli impegnati nella difficile arte della sopravvivenza dopo l'abbandono del rispettivo marito e padre, la pièce del drammaturgo statunitense racconta delle ambizioni e aspirazioni del giovane Tom costretto a scegliere tra il proprio destino, e la sua ansia di libertà, e il profondo affetto che lo unisce alla sorella Laura, prigioniera della propria fragilità, quasi fosse anch'essa una statuina di vetro del suo “zoo”.
Il legame tra i due fratelli, rafforzatosi quasi a colmare il vuoto lasciato dalla figura paterna, e il sentimento di protezione che prova verso quella creatura così delicata e introversa, che pare vivere in un suo mondo fantastico, impedisce al ragazzo di spiccare il volo: la psiche di Laura, ancor più che il suo aspetto, risente di una lieve menomazione fisica che l'ha spinta a chiudersi ancor più in se stessa, come per sottrarsi al dolore e alla crudeltà della vita. Tuttavia Amanda, la madre, perduta nei rimpianti del passato e nei labirinti della memoria, non rinuncia a sperare in una sorta di riscatto per la figlia, magari attraverso un matrimonio, alimentando così sogni e speranze (forse) irrealizzabili.
La struggente malinconia di un blues sembra accompagnare la vicenda che riaffiora dai ricordi del protagonista, ardente di vita e però frenato dall'esigenza di non ferire la sorella, e non lasciarla alla sua solitudine dopo un nuovo abbandono, insieme a una madre in balìa di antichi fantasmi, glorie e fasti del passato e dell'urgenza di conservare, oltre la decadenza e lo sfacelo, almeno le apparenze del decoro e del prestigio sociale. Nell'attenta ricostruzione delle dinamiche, dei comportamenti, degli atteggiamenti è svelata tutta l'ambiguità dei rapporti, tra possessività e rifiuto, abnegazione e sacrificio ma anche muta preghiera, in una coralità di voci che son l'una di contrappunto all'altra, a comporre il vago affresco di una varia, e variamente infelice ma pure solare, coraggiosa umanità.
“Lo zoo di vetro” mostra l'intrecciarsi di tre solitudini, tra immedicabili ferite dell'anima – e dell'orgoglio – in un presente che si consuma tra il peso del passato e la negazione del futuro, sul filo della nostalgia e cullato dalla nebbia dei sogni finché l'ennesimo litigio romperà quel precario equilibrio, mandando in frantumi le illusioni per mostrare il volto, amaro, della verità. E l'aroma salso dell'oceano, il profilo di una nave segnano l'ora del distacco, il possibile inizio di una nuova vita.
“Lo zoo di vetro” (The Glass Menagerie) consacrò il talento di drammaturgo di Tennessee Williams (al secolo Thomas Lanier Williams), dando il via a una serie di successi – sul palcoscenico ma anche sul grande e sul piccolo schermo - da “Un tram che si chiama desiderio” (indimenticabile il film di Elia Kazan, con Vivian Leigh e Marlon Brando) a “La gatta sul tetto che scotta” e “Improvvisamente l'estate scorsa”, fino a “La dolce ala della giovinezza” e “La notte dell'iguana”.
Su quest'opera, in cui si respira l'atmosfera della Grande Depressione, incombe il sentimento della fine inevitabile di ogni (illusoria) felicità, la consapevolezza della perdita, della rinuncia a inarrivabili ideali per ritrovare infine, nella fatica e nell'impegno quotidiano, nelll'infinito tra cielo e mare, se stessi e la propria vera natura. La sofferenza è forse la chiave per una più acuta comprensione dell'universo, l'indispensabile passaggio di una catarsi. Tragica. Ma inevitabile.
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