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Gianni Olla racconta un secolo di cinema sardo

Autore: Francesco Fuggetta,
17 aprile 2009, 10:16
Il critico cinematografico presenta “Dai Lumière a Sonetàula”: 109 anni di film, documentari, fiction e inchieste televisive sulla Sardegna.

Gianni Olla vive e lavora a Cagliari. Critico cinematografico del quotidiano “La Nuova Sardegna”, è stato docente di Storia e critica del cinema presso le Università di Cagliari e Sassari. Ha pubblicato saggi e volumi sul cinema documentario in Sardegna, sulla cinematografia cinese, il cinema del ’68, l’Olocausto sugli schermi, nonché su Akira Kurosawa, Kenji Mizoguchi, Pedro Almodovar, François Truffaut, Franco Solinas, Fiorenzo Serra, Grazia Deledda, Marcel Proust.

Amedeo Nazzari in Proibito“Dai Lumière a Sonetàula”: 416 pagine che racchiudono 109 anni di cinematografia in Sardegna. Come nasce questo volume?
E’ un punto d’arrivo provvisorio. Mi sono occupato di cinema fin da quando, molto giovane, iniziai a collaborare con i giornali. Quando poi nacque la sede regionale di Rai 3, il direttore propose di fare delle trasmissioni sui documentari che hanno raccontato la Sardegna, e mi fecero un contratto per andare a cercare questi materiali. Le ricerche sono cominciate nei primi anni ’80, e mi hanno portato a scoprire registi come Fiorenzo Serra, un sassarese che pochi conoscevano ma che ha girato ben 50 film. Insomma, avevo un armadio pieno di materiale, e in un anno e mezzo ho messo insieme queste 550 schede, tra cui un centinaio di film a soggetto, documentari, inchieste televisive e sceneggiati. È il risultato di un lavoro di molti anni.

Perché questo titolo: “Dai Lumière a Sonetàula?”
Il primo documento cinematografico girato in Sardegna è la cronaca del viaggio che il Re Umberto I e la Regina Margherita fecero nel 1899, partendo da Cagliari e arrivando a Sassari. Il regista era l’agente romano dei fratelli Lumière. Di questi filmati, che girarono tutta l’Europa, sono rimasti cinque brevi documenti di 50 secondi l’uno. L’ultimo film in ordine cronologico, che ho schedato e inserito all’ultimo momento, è “Tutto torna” di Enrico Pitzianti, girato a Cagliari. Ma “Sonetaula”, di Salvatore Mereu, è il film che rappresenta un cambiamento di prospettiva, perché è un film girato da un sardo, che riesce a farselo produrre anche dalla Rai, e che ha una discreta fama. Così come “Ballo a tre passi”, opera prima di Mereu, è un punto di arrivo nel tentativo dei sardi di costruirsi una loro immagine.

E’ una raccolta di film di registi sardi oppure di film girati in Sardegna?
L’uno e l’altro, ma la chiave unificante è che ci sia una traccia sarda. Tracce storiche, legate per esempio all’immagine della Sardegna che il fascismo tenta di dare: un’idea di modernità, trasformazione, cambiamento. Il fascismo lavorò molto in Sardegna: abbiamo i film sulla nascita delle nuove città, Carbonia e Mussolinia-Arborea. Ci sono poi film preziosi come “Kainà”, un film muto degli anni ’20 ritrovato dalla Cineteca Sarda a Praga: si riteneva fosse andato perduto. Nel dopoguerra arrivarono decine di troupe per la fama dovuta ai romanzi di Grazia Deledda, che in quel periodo era una delle scrittrici più popolari d’Italia. A partire dagli anni ’60, con la scoperta della Sardegna come terra ancora incontaminata, è nata un’immagine esotica, non più legata solo ai pastori, alla Barbagia. Oppure “Operazione Idra”, un film di fantascienza girato a Santa Caterina di Pittinurri: la Sardegna degli anni ’60 è un territorio poco frequentato e quindi si presta a queste ambientazioni. Un altro film famosissimo è “The Black Stallion”, girato tra la costa di Arbus e le dune di Piscinas. Fino alla spiaggia di Cala Luna, scoperta dalla Wertmüller in “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto”.

Jimmy della collina (Archivio Sergio Naitza)Quali sono i registi sardi sui quali punta maggiormente?
Credo che il fenomeno nel complesso vada visto molto positivamente: i sardi hanno smesso di lamentarsi e si danno da fare. Personalmente credo che il più dotato sia Salvatore Mereu. Da cagliaritano originario del Sulcis Iglesiente sogno che nell’immaginario regionale ci sia lo spazio per parlare delle città, della storia industriale, delle miniere: “Il figlio di Bakunin” di Gianfranco Cabiddu, in Sardegna ha guadagnato più di Titanic! Ho amato molto sia i film di Enrico Pau che quelli di Pitzianti, ambientati a Cagliari. “Tutto torna” di Pitzianti è una commedia che presenta Cagliari non come una città di provincia sonnolenta ma come una città viva, giovane e multiculturale. Così come “Jimmy della Collina” di Enrico Pau: sono film che mostrano la voglia di raccontare il proprio mondo. Il primo film importante del dopoguerra che fa vedere Cagliari è “La calda vita”, con Catherine Spaak, girato fra Cagliari e Villasimius, con sequenze al Poetto, alla Bussola, a Bonaria e in via Milano. E chi si occupava di cinema nelle pagine dell’Unione Sarda era un giovane avvocato che sarebbe diventato sindaco: Mariano Delogu.

Qual è il film girato in Sardegna che giudica migliore?
Qualcuno mi ha chiesto perché nel mio libro non ho messo le “stellette”, perché tutti hanno in mente il “Mereghetti”. Ma il mio intento non era quello di fare una classifica, bensì quello di fare una ricognizione che avesse un valore sociologico. In ogni caso, per me il film più bello resta “Banditi a Orgosolo”: De Seta è un maestro del cinema e riesce a farci percepire la solitudine di quel mondo. Ma non solo: pochi sanno, ad esempio, che esiste un documentario di Walt Disney girato nel ’54 in Sardegna, che si chiama “Sardinia”. Un film che invece è stato poco apprezzato è “Un delitto impossibile” di Antonello Grimaldi, che racconta di una città invisibile, Sassari, con uno sguardo distaccato e decadente.

La regione Sardegna potrebbe fare di più per il cinema?
C’è troppa burocrazia, bisognerebbe semplificare e far funzionare meglio le Film Commission, dare loro più poteri per propagandare il territorio e incentivare gli autori sardi.

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