LA VICENDA. Le cozze non sono potute crescere e le arselle sono state soffocate dal terriccio arrivato dalle campagne
La recente alluvione ha portato
fanghiglia e troppa acqua dolce
Ha lasciato la compagna a casa in piena notte, è uscito in mare alle tre e mezza. E, alle 11, quando è tornato nelle banchine del consorzio Santa Gilla, ha portato con sé un misero bottino: qualche muggine, un po' di pesce misto e una piccola cassetta di bocconi. «Spendendo», sospira Luca, giovanissimo pescatore, «quaranta euro di benzina, io e il mio collega tireremo fuori venti euro a testa. Ma ne vale la pena?».
La situazione
È l'immagine emblematica di quello che accade nella laguna. «Guardate», interviene Emanuele Orsatti, presidente del consorzio che riunisce le sette cooperative che lavorano a Santa Gilla, «non c'è nessuno in acqua. In giornate come questa c'era un tale affollamento che sembrava di essere al mercato». Nelle banchine, pochi pescatori che fanno lavori di routine: intervengono sui motori delle barche, riparano le reti, si occupano di piccole manutenzioni. Solo Roberto Deplano si prepara a mettere la barca in acqua. «Devo tirare fuori due pesciolini per avere qualcosa da mangiare». Veterano della pesca («Ho 54 anni, sono qui da quando ne avevo 12»), lavora sott'acqua. «Ma sono fermo da quaranta giorni».
La crisi
Le piogge di maggio e agosto avevano già creato problemi. L'alluvione delle scorse settimane ha dato il colpo di grazia. «L'arrivo dell'acqua dolce», interviene Piero Lilliu della cooperativa Santa Gilla 2000, «ha rovinato sei mesi di lavoro». Lui alleva cozze: sistemata la semenza (le piccole cozze), regolarmente occorre “rincalzare” (cambiare cioè le maglie). «Vivono nell'acqua salmastra: sono state tutte uccise dall'acqua dolce. E ora abbiamo paura di sistemare altra semenza». Stessa sorte delle vongole, sommerse dalla fanghiglia portata dalle alluvioni. «Non possono respirare e muoiono». Qualche giorno dopo l'alluvione, il mare si è riempito di “mortazza”, migliaia di pesci morti galleggiavano in acqua.
Il disastro
In teoria, dopo i lavori fatti oltre trent'anni fa, l'acqua dolce non dovrebbe più arrivare in laguna. «Ma le chiuse che dirottano il corso dei fiumi direttamente verso il mare», sostiene Orsatti, «non sono manutenute. Quindi, quell'acqua arriva qui». Portando qualunque cosa: dopo l'ultima alluvione, sono arrivate in lagune carcasse di maialetti, pecore, addirittura di un cavallo. E, per quanto la situazione non sia più quella del passato, anche reflui fognari. «Appena arriva l'acqua dolce, ci fermiamo, smettiamo di raccogliere le cozze e aspettiamo l'arrivo dell'Assl per sapere se siano o meno inquinate».
Lo spirito
Ci sarebbe da mollare tutto. «Ma se non tenessimo in funzione lo stabulario», conclude Orsatti, «ci vorrebbero sei mesi per ricominciare. Il consorzio è sano, abbiamo tanti progetti: non vogliamo vivere di sussidi, chiediamo solo di poter lavorare, di poter andare in acqua e pescare».
Marcello Cocco
I progetti
Ittiturismo
e fattoria
didattica
Il futuro
Non solo pesca. A Santa Gilla c'è l'Università che, nello stabulario, sta studiando i ricci e alcuni frutti di mare che sono particolarmente apprezzati in Cina. Ed esiste un edificio che ha bisogno di essere riqualificato: ci sono già due milioni e mezzo di euro per realizzare un ittiturismo e una fattoria didattica.