Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Otto modi per preparare l'addio: è Nachlass dei Rimini Protokoll

Fonte: L'Unione Sarda
24 ottobre 2018

ARTE. Attraverso gli oggetti ciascuno di noi svela una storia, fa un lascito

 

 

Al Massimo di Cagliari fino a sabato l'originale installazione teatrale

 

 

Di Nadine Gros è rimasto un pull-over di lana d'angora, che la segretaria commerciale fece con le sue mani, oltre venticinque anni fa. «Dura ancora», dirà il 16 agosto del 2015, «e durerà sempre». Gli oggetti hanno il potere di attraversare il tempo, e oggi, che sono passati tre anni dacché Nadine non c'è più, il maglione bianco, racconta della sua voglia di tenerezza, di un abbraccio in più. Il lascito di Jeanne Bellengi è un orologio e tante fotografie sparse su un tavolo. Doveva essere una donna ironica, Jeanne, e di anni ne ha vissuti molti più di Nadine, e forse, un po' più felici. Per lei le persone sono tutte belle quando muoiono, anche i cattivi. Anche il figlio Michel, che pure aveva sofferto molto nella sua vita, quando morì sembrava un ragazzo.
Oggetti vivi
Sì, è vero, le cose non sono silenti e inerti, come potrebbe sembrare, e basta un nome, sapere a chi sono appartenute, per ricostruire una storia. In “Nachlass. Pièce sans personnes”, un'installazione teatrale di Rimini Protokoll, ospitata al Teatro Massimo, a Cagliari (fino a sabato 27), sono tramiti tra chi è andato via e chi è rimasto, ma anche pretesti per sollecitare riflessioni e interrogativi sulla morte, e, forse di più, sulla vita. Il modo in cui scegliamo di utilizzare l'opportunità di esserci è quello che darà significato al trapasso.
L'installazione, ideata e realizzata da Stefan Kaegi (regista) e Dominic Huber (scenografo) -i Rimini Protokoll, è una struttura di legno chiaro a forma ellittica, composta da un corridoio centrale su cui si affacciano otto porte. Ognuna di esse introduce in una stanza, dove qualcuno, attraverso la sua voce registrata (da qui il sottotitolo: “spettacolo senza persone”), racconta di sé: del lavoro, degli hobby, degli obiettivi mancati, dei disastri famigliari, dei legami più intimi, dei propri timori. E mentre si ascolta, si rovista tra gli oggetti: libri, sculture africane, esche per la pesca, una tuta alare, persino il loukoum, un dolce turco al miele.
Silenzio esistenziale
In assenza di un corpo e di un volto con cui dialogare, e senza dichiarare apertamente chi tra gli otto individui sia ancora in vita e chi invece non lo è più, le cose tracciano un bilancio esistenziale, soppesano le scelte compiute e quelle sospese, riferiscono di progetti ancora in corso. Ad altri è affidato il compito di portarli a termine. Di morte si parla perché tutti la citano, l'aspettano, la programmano, oppure, come Michael Schwery, jumper per vocazione, la corteggiano, e la sfidano. In fondo, però, si parla di vita, di come si è trascorsa, di scelte, di ciò che sta a cuore. Come Celal Tayip che vive a Zurigo, ma sarà seppellito a Istanbul: vi è nato e vi è rimasto legato.
Incontro con la morte
È un appuntamento discreto, la morte. I coniugi Annemarie e Gunther Wolfarth le hanno dato convegno in Svizzera. Hanno pianificato la loro vita, e la loro dipartita, con la stessa accortezza con cui, lui, banchiere, ha suggerito investimenti ai suoi clienti. Lo stesso hanno fatto con i nipoti argentini, che dovranno studiare in Germania per ereditare i loro beni. Gabriele Von Brochowski, ambasciatrice europea in Africa, non si dà pena: il suo patrimonio, attraverso la fondazione a lei intitolata, contribuirà alla crescita dell'arte africana, con positive ripercussioni sullo sviluppo economico del continente. La morte, in questi casi, sembra davvero poca cosa. Alexandre Bergerioux non avrebbe fretta, non ha neppure cinquant'anni, e una figlia di tredici può aver bisogno di un padre nell'età in cui si combinano guai. Non sa quanto tempo gli lascerà la malattia rara che lo minaccia, gode finché può della bellezza della Natura, del piacere certosino di fabbricarsi le esche: una collezione di mosche per la pesca delle trote. L'attesa è una collezione di attimi.
Sopra ogni porta di “Nachlass” un timer conta il tempo di permanenza nella stanza: otto minuti. Quanti saranno quelli che toccano a ognuno di noi non li possiamo contare. Certo è che sono limitati, quale sarà il nostro particolare modo di dargli senso?
Franca Rita Porcu