Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Melingo, poesia del tango

Fonte: L'Unione Sarda
24 luglio 2009

 
L'argentino conquista il Civico di Cagliari

Lo chiamano il “bohemièn”. Certo ha una voce roca e graffiata, Daniel Melingo, in scena mercoledì al Teatro Civico di Cagliari col suo Quintetto. Interamente vestito di nero, col cappello e un corto soprabito, ha presentato a un pubblico assai scarso un Maldito Tango pieno di malinconia. La parola che torna più spesso, in testi che attingono anche al lunfardo, un dialetto porteño, è “barrio”, quartiere, entità che in una città sterminata come Buenos Aires è una piccola patria. Batte il piede per scandire il tempo, Melingo, carezza il pavimento, muove le mani, fischietta, alterna il clarinetto alla chitarra in sintonia coi suoi quattro musicisti. Non concede niente all'immaginario del tango, in uno spettacolo che i molti praticanti tangueri cagliaritani hanno quasi ignorato.
L'argentino triste narra storie di borsaioli e prostitute, vagabondi innamorati, vecchi seduttori. E rende un esplicito tributo a Carlos Gardel e a Jorge Luis Borges. È un autore colto che ha praticato il blues e il rock e mescola austeramente i generi riportandosi alle origini del tango, musica di neri africani approdati sulle rive del Rio de la Lata. Nel suo concerto appena un accenno alle note allegre della milonga, un guizzo subito spento da note fumose evocatrici di atmosfere notturne e incatramate. Ad accompagnare Melingo, il mandolino, il contrabbasso, il bandoneon e le chitarre di Rodrigo Guerra, Pablo Pensavalle e dei due fratelli Flores, Avelino Rudi e Nestor. Virtuosi che distillano dai loro strumenti rumori di acqua e di vento, di versi animali che sembrano provenire da lontanissime foreste. A sorpresa, nella seconda parte, Daniel Melingo abbandona le scure vesti per indossare basco e canottiera. Bianchi, per sottolineare la radice popolare di un'espressione artistica che solo nel tempo si trasformò in ballo. Vietatissimo agli albori, eseguito da soli uomini e considerato in Europa del tutto sconveniente.
Giudizio ancora serpeggiante tra coloro che non sanno che il tango e i suoi fratelli, primo tra tutti l'antico “cangenghe”, è tecnica e disciplina e richiede equilibrio tra regole e improvvisazione. L'interpretazione di Melingo si discosta da ogni forma di folklore. Si muove sul palco con movimenti misurati al millimetro. Non concede niente agli spettatori, non cambia l'espressione del bel viso scolpito. Dispensa, piuttosto, una certa ironia, come se ritenesse (forse a ragione) che i barbari che non hanno sangue porteño nelle vene del tango non sappiano niente. Classe 1957, il compositore che nella “canciòn” infila i versi dei poeti sa di parlare di qualcosa di serio, lontano dall'universo di tacchi a spillo e brillantina che ha sublimato la memoria dei bassifondi sudamericani.
ALESSANDRA MENESINI

24/07/2009