Rassegna Stampa

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Teatro: “White rabbit red rabbit”, Tiziana Troia vince sfida

Fonte: web cagliaripad.it
24 luglio 2018

 

 

Da Ansa News -  23 luglio 2018


 


Da un lato il dilemma del recensore, chiamato ad assistere ad uno spettacolo che non si può raccontare. Dall’altra quello di un’attrice che accetta di interpretare un copione top secret chiuso in una busta, da aprire in diretta sul palco. Un’ardua ma affascinante prova da vivere insieme al pubblico. Sta in questo surreale gioco del silenzio il paradosso di “White Rabbit Red Rabbit”, monologo del drammaturgo iraniano Nassim Soleimanpour, che ora vive in Europa. Prodotto da Valeria Orani è stato portato in scena da Tiziana Troja al Teatro Civico di Cagliari.

Il progetto di “369gradi” in scena dal 2011, tradotto in 25 lingue, 3mila repliche, sbarca nel capoluogo per quattro date, in collaborazione con Cedac e la ‘complicità’ della compagnia LucidoSottile. Si prosegue con Elio Turno Arthemalle, il 27 luglio, Michela Sale Musio, il 3 agosto, e Gianni Dettori, il 10. Un esperimento sociale in forma di spettacolo, che rovescia i meccanismi della rappresentazione teatrale: non c’è regia, niente prove né applausi finali e un attore o un’attrice in solitudine davanti al pubblico con a disposizione solo la propria arte. Un palcoscenico vuoto, una sedia, un tavolo, due bicchieri, gli unici elementi scenici concessi.

Tiziana Troja, artista cult della scena cagliaritana, si mette in gioco in un esercizio funambolico e senza rete. In una performance improvvisata e attingendo al proprio immaginario e all’attualità, colora la partitura con invenzioni lasciando affiorare il suo lato ironico. Un format che ha già messo alla prova in Italia artisti come Emma Dante, Fabrizio Giffuni, Lella Costa, Gioele Dix, Iaia Forte, Daria Deflorian. E all’estero Ken Loach, Sinead Cusack o Whoopi Goldberg. Il testo, scritto nel 2010, scaturisce da una necessità, quella di un giovane drammaturgo, prigioniero nel suo Paese. Per far arrivare la sua voce oltre il confine affida di volta in volta le sue parole all’interprete che dovrà recitarle e farle proprie. “White Rabbit Red Rabbit”, non ha un contenuto espressamente politico ma diventa atto politico il fatto stesso di rappresentarlo. Il vincolo del silenzio imposto a chi assiste alla rappresentazione diventa metafora della condizione di chi non ha libertà di esprimersi se non mettendo a rischio la propria incolumità. Un silenzio che ‘urla’ più delle parole.