Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Migranti morti: dna e ricerche

Fonte: L'Unione Sarda
17 luglio 2018

 

 

 

Sono diciassette i cadaveri di migranti che da anni aspettano una sepoltura. Oltre a quelli che nel cimitero di Quartu hanno fatto scattare l'emergenza sanitaria a causa del mal funzionamento delle celle frigo, molti altri si trovano nelle camere mortuarie della città dove rimarranno fino a quando il tribunale non rilascerà il “certificato di non identificabilità” o, per tre di loro ai quali è stato dato un nome e un cognome, nell'ipotesi (remota) che le famiglie vengano a riprenderseli.
IDENTIFICATI È il caso di due ragazze riportate a terra già morte il 3 settembre del 2015. Augustine Ejiro e Mekewue Mercy, entrambe nigeriane, si trovano nell'obitorio dell'ospedale Brotzu. Le due ragazze erano arrivate insieme a 781 migranti a bordo della Siem Pilot: dopo gli accertamenti medico legali sono rimaste lì. Con loro quel giorno erano arrivati altri due cadaveri ai quali però è stato impossibile dare un'identità: dopo alcuni mesi sono stati sepolti nel cimitero di Sinnai con il codice “Sar 1158001” e “Sar 1158004”. Un anno dopo, nel settembre del 2016, la nave Dattilo aveva portato a Cagliari altri 931 migranti e tre morti. Tra loro la salma di un uomo di nome Javil Muhammad partito dal Pakistan e che ancora nessuno ha reclamato: si trova in cella. Per Augustine, Mercy, Javil e tutti gli altri corpi lasciati in attesa, ieri mattina il dirigente dell'istituto di Medicina legale Roberto Demontis ha inviato la comunicazione di chiusura della pratica alla Procura della Repubblica. Nell'informativa l'anatomopatologo spiega di aver completato gli esami e i prelievi del dna e di non avere più alcun bisogno dei cadaveri che, quindi, possono essere seppelliti.
IL GIALLO Da chiarire il caso di un corpo che da quattro anni si trova nella camera mortuaria dell'istituto di Medicina legale ma del quale nessuno sa nulla. Il cadavere non è accompagnato da nessun certificato, non si sa come sia arrivato lì, né si è riusciti finora a individuare il pubblico ministero che ha disposto il sequestro della salma per l'esecuzione delle indagini previste dalla legge. Tutto quel che è possibile sapere è che si tratta di un uomo e che potrebbe essere un migrante arrivato a bordo di una delle tante navi che negli ultimi anni sono attraccate nei moli cittadini per riportare a terra migliaia di persone in fuga da paesi tormentati da guerre e povertà.
IL TEST Intanto, il test del Dna potrebbe presto dare l'ufficialità al riconoscimento di Fatou Heydara, una delle giovani donne morte durante la traversata dalla Libia verso l'Italia. Fatou è una ragazza del Gambia e sarebbe suo uno dei due corpi che si trovano nelle celle rotte del cimitero di Quartu dove l'odore che esce dalla camera mortuaria negli ultimi giorni è diventato insopportabile. Dal primo confronto con le foto inviate dal fratello che vive ad Arezzo la ragazza dal viso paffuto e gli occhi profondi potrebbe essere quella alla quale al momento dello sbarco era stato assegnato il numero 6. Il fratello da due anni si chiedeva che fine avesse fatto Fatou. A fargli sapere che non era sopravvissuta al viaggio era stato un suo vicino di casa, Ansu Camasa che allora aveva solo 16 anni e che ora vive in una comunità di Aritzo. Nel dicembre di due anni fa il ragazzino aveva parlato con Fatou al momento dell'imbarco e poi l'aveva vista morire insieme ad altre cinque ragazze (una sarebbe senegalese mentre le altre quattro potrebbero essere partite dalla Nigeria). Ansu Camasa appena arrivato a terra aveva avvisato la madre in Gambia di quel che era accaduto a Fatou e lei si era messa in contatto con i genitori della ragazza. «Per tanto tempo non ho saputo nulla e ora sono qui a disposizione. Posso andare anche a Firenze per fare il prelievo se serve ad avere una certezza» spiega Omar Heydara al telefono. Questa mattina investigatori e medici si confronteranno per chiarire quale sia il modo migliore per far arrivare fino a Cagliari il campione dal quale estrarre il codice genetico. Le altre cinque ragazze morte durante la traversata del dicembre 2016 invece potrebbero essere seppellite con una croce anonima sulla quale verrà scritto solo il numero assegnato al momento dello sbarco: la salma numero 1 e la numero 2 sono all'obitorio di San Michele (e non a Sinnai come era parso dalle prime verifiche), la 3 e la 4 all'ospedale Brotzu, mentre la 5 insieme a Fatou è al camposanto di Quartu. Per loro si sono mobilitati alcuni dei ragazzi sopravvissuti a quel viaggio e che ancora vivono in Sardegna. Appena saputo di quelle donne chiuse in cella senza un nome e al pensiero delle loro famiglie rimaste senza risposte un giovane del Gambia ospite di una comunità di Lanusei ha cercato un contatto. «Alcuni di noi erano stati mandati a Sassari e tra loro c'erano anche delle ragazze nigeriane che potrebbero aver conosciuto quelle che sono morte». La ricerca da un centro di accoglienza all'altro è stata avviata ma per avere delle risposte servirà del tempo.
Anche nell'obitorio del cimitero comunale di San Michele ci sono altri due cadaveri mai identificati, proprio come quelle sbarcate dalla nave Dattilo nel 2016 insieme a Javil Muhammad iscritti regolarmente nei registri dell'istituto, sottoposti ad autopsia ma mai seppelliti. Ora che il medico legale ha formalizzato la chiusura degli accertamenti, la Procura dovrebbe comunicarlo al tribunale per il nullaosta.
CHI PAGA? Chiusa la fase delle indagini si aprirà quella della burocrazia. La legge prevede che nel caso di corpi identificati siano i parenti a farsi carico di ritirare la salma e a pagare il funerale. Oppure se, come nel caso dei tre migranti ai quali è stato dato un nome, la famiglia non fosse in grado di provvedere alle spese è necessario rivolgersi alle istituzioni per chiedere che paghino il conto della sepoltura.
Mariella Careddu