Di Ennio Neri 9 luglio 2018
Gli abitanti del centro storico contestano le soluzioni prospettate dal piano di risanamento acustico che propone all’amministrazione di ridurre gli spazi destinati alla ristorazione all'aperto e la restrizione degli orari: “Misure troppo blande. Il rumore resterebbe comunque dannoso per la nostra salute”
“Il problema è l ’inquinamento acustico prodotto dal vociare e dagli schiamazzi dei clienti delle attività commerciali di mescita, ristorazione (anche all’aperto) e di intrattenimento ludico‐musicale”. I residenti della Marina e di Stampace lo sanno bene da anni. Ora lo sa anche il Comune di Cagliari che ha preparato un Piano di Risanamento acustico della città che individuato complessivamente due soluzioni per risolvere il problema dell’inquinamento acustico prodotto dalla movida nel centro storico: taglio di un terzo ai tavolini e stop al servizio all’aperto all’una di notte. Ma né l’una, né l’altra soddisfano né i commercianti, né i residenti. I primi hanno già protestato sabato con una conferenza stampa dichiarando che le misure sono troppo drastiche. Al contrario, per i residenti del centro storico, i provvedimenti indicati dal piano sarebbero troppo blandi.
Il comune ha preso in esame la porzione del rione Marina tra piazza San Sepolcro, piazzetta Savoia, le scalette di Santa Teresa e l’incrocio tra via Baylle e via Savoia, area che si estende per poche centinaia di metri, (una zona articolata con strade strette e edifici di almeno 3 piani, che fanno da cassa di risonanza per i rumori), in cui sono inseriti locali notturni (almeno una dozzina) e abitazioni poste sia ai piani superiori degli edifici che ospitano i locali (tanti i metri quadri esterni in concessione e tantissimi gli avventori) sia in prossimità di questi.
A seguito di esposti e segnalazioni, nel 2014 è stato effettuato un monitoraggio acustico da parte dell’Arpasproprio in quest’area presso alcune abitazioni prossime agli esercizi commerciali. Secondo il piano la principale sorgente di rumore è “l’aggregazione di persone, richiamate dalle attività dei locali che offrono servizi ai tavoli all’aperto, atte a conversare e talvolta a schiamazzare all’esterno degli esercizi pubblici. Si tratta “, si legge nel piano, “di situazioni in cui la tendenza è di parlare ad un livello di emissione medio‐alto, con conversazione continuativa a piccoli gruppi, in cui due o più persone si alternano senza interruzione. Il fenomeno sonoro complessivo che ne risulta, è di un’emissione di livello variabile ma pressoché senza interruzioni. All’aumentare del numero di capannelli, la variabilità del livello sonoro complessivo tende a mitigarsi fino a raggiungere, quando il numero di persone è sufficientemente grande, la quasi stazionarietà”.
Le soluzioni preparate dalla società che ha redatto il piano per conto dell’amministrazione sono dunque due: anticipare l’orario di chiusura dei plateatici all’1: di notte e “normalizzare il numero di dei clienti dei locali assicurando un indice di affollamento delle superfici destinate all’attività di somministrazione di cibi e bevande non superiore a 0,8 persone/mq”. Riducendo di un terzo circa l’attuale dotazione di tavolini e sedie.
“L’amministrazione vuole ridurre di un terzo il numero dei tavolini e portarlo all’una, oppure entrambe le soluzioni”, spiega Enrico Marras, presidente del comitato Rumore no grazie, “ma secondo noi il problema non risolvono così. Si raggiungerebbe la soglia dei 60 decibel in facciata. Sempre troppi perché l’Organizzazione Mondiale della Sanità certifica che sopra 55 decibel la situazione è pericolosa a livello di salute pubblica e che gli effetti avversi sono frequenti e il sistema cardiovascolare comincia a essere sotto stress”.