Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Una coloniale «Aida» in un tripudio di colori tra cannoni e divise

Fonte: La Nuova Sardegna
17 luglio 2009

VENERDÌ, 17 LUGLIO 2009

Pagina 41 - Inserto Estate



Il più popolare melodramma di Giuseppe Verdi debutta questa sera al Comunale di Cagliari con Daniela Dessì





di Gianni Olla
CAGLIARI. Cannoni e divise militari, popolazione islamizzata in tunica bianca e mantello e militari con i fez turchi. Potrebbe anche essere un film coloniale «coloratissimo» del dopoguerra, ad esempio «Khartoum» o «Le quattro piume» e persino «Lawrence d’Arabia». Invece è l’«Aida», una delle più conosciute opere di Giuseppe Verdi, e, non appena comincia la musica o piuttosto nella progressione finale dei due amanti verso la tomba - acme drammatico che ha pochi termini di paragone con altre opere - ci si dimentica delle Piramidi, degli elefanti, delle palme e dei faraoni. L’allestimento a cura del Teatro Lirico di Cagliari esordirà stasera alle ore 21 e sarà in scena al Comunale anche domenica, martedì 21, mercoledì 22, venerdì 24, sabato 25 e domenica 26. Non dovrebbero esserci polemiche, visto che è un ri-allestimento curato da Marco Carniti con le medesime scene di Jamie Vartan e ovviamente con nuovi cantanti (tra le quali la soprano Daniela Dessì, Rafal Siwek, Irina Mishura, Walter Fraccaro, Riccardo Zanellato, Gianluca Floris e Sara Allegretta) e un nuovo direttore, Ascher Fisch.
Stephen Medcalf, uno dei grandi nomi della regia operistica contemporanea, l’aveva preparata per la stagione 2003: la diresse Lorin Maazel e il nome del direttore, più che quello del regista, mise a tacere ogni tentativo di critica. Lo stesso regista, di casa a Cagliari, fece nel 2005 una bellissima «Carmen» antifolclorica e ri-drammatizzata, ma soprattutto ambientata negli anni Quaranta del Novecento, con l’ombra della guerra civile spagnola appena conclusa e una grande massa di contrabbandieri/partigiani che venivano riforniti di armi e vettovaglie da un aereo, visibile in scena, in movimento, poco dopo l’atterraggio.
L’«Aida» si muove sulla stessa strada, che peraltro è connaturata all’essenza stessa dell’opera, ovvero, per usare un termine hollywoodiano, al suo modo di produzione. Difatti Verdi la compose nel 1869, su incarico del viceré egiziano, suddito dell’impero ottomano, in occasione dell’inaugurazione del Canale di Suez. La guerra franco-prussiana - che non interessò certo l’Egitto, ma piuttosto indebolì la potenza coloniale francese - determinò il rinvio dell’allestimento di ben due anni. La Francia si era affacciata prepotentemente in Egitto con Napoleone nel 1798, ma dopo la definitiva sconfitta imperiale e nonostante la già crescente espansione britannica, Napoleone III si era successivamente mosso su due terreni, finanziario e culturale. Il primo portò appunto alla nascita della Compagnia del Canale, di proprietà mista egiziana e francese; il secondo, che ebbe iniziò con i grandi ritrovamenti archeologici degli studiosi al seguito di Napoleone, segnò la nascita dell’esotismo in ogni campo della cultura e della comunicazione di massa, del costume sociale, della letteratura e della moda.
Si può sicuramente affermare che senza questa ventata di “orientalismo” (per dirla alla Edward Said), non sarebbe nata neanche l’«Aida» e dunque, la messa in scena di Medcalf, rispettando obbligatoriamente la struttura melodrammatica del grande Ottocento operistico, sembra voler alludere al clima storico e culturale che ispirò Verdi, dicendo a chiare lettere che, brechtianamente, le forme sono più importanti dei contenuti, soprattutto nella lirica dove i veri messaggi estetici e forse anche emozionali vengono consegnati agli spettatori dagli orchestrali e dai cantanti, cioè dal direttore musicale e non dal regista.
Naturalmente, è valida anche la tesi opposta: presentata per la prima volta, nel 1871, in un Teatro vero, al Cairo, l’opera ha cambiato natura a partire dagli anni Venti, con le stagioni operistiche all’aperto alle Terme di Caracalla di Roma: scenografie da colossal hollywoodiano, elefanti, cavalli, cammelli (peraltro inesistenti nell’Egitto dei faraoni), migliaia di comparse e ogni altra sovrapposizione iperspettacolare.
È probabile che il nuovo esotismo avesse qualcosa in comune con il colonialismo italiano dell’epoca, ma è certo che il segno rimase incancellabile. Ancora oggi, la maggior parte degli spettatori ricorda qualche evento memorabile, magari a guida zeffirelliana, all’Arena di Verona o, più semplicemente, al nostro Anfiteatro (dove ci sono state, in effetti, notevoli messe in scena dell’«Aida»), con tanto di marcia trionfale e bagni regali in piscine vere. Come darle torto?