Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Servillo incanta e canta la sua Napoli

Fonte: L'Unione Sarda
27 aprile 2018

In scena sino a domenica al Massimo di Cagliari

 

 

È un viaggio che parte dal Paradiso, passa dal Purgatorio e approda all'Inferno, il florilegio dei grandi autori partenopei . “Toni Servillo legge Napoli”, in scena al Teatro Massimo di Cagliari (in viale Trento), è un assolo d'artista e una lezione di maestria. In replica stasera e domani alle 20.30, domenica alle 19 per l'ultimo appuntamento della stagione invernale della Cedac.
Voce narrante e cantante, l'eccellentissimo attore spiega che i testi selezionati per quest'omaggio sono stati scritti per essere detti a voce. Solo l'oralità, dice, rende appieno la ricchezza di una lingua piena d'inflessioni, di accenti, di varianti locali. Sobrio ma assai contento della pioggia di applausi, nato ad Afragola ma napoletano ad honorem, Servillo esordisce con “Lassammo fà Dio” di Salvatore Di Giacomo e prosegue senza indugi con “Vincenzo De Pretore” di Eduardo De Filippo. Pagine in napoletano stretto, di non facile comprensione. Sul palco però c'è un professionista capace di far arrivare il senso delle storie narrate da Raffaele Russo e Mimmo Borrelli, da Maurizio De Giovanni e Giuseppe Montesano. Scrittori, e poeti come Raffaele Viviani, tessitori di trame tristi in cui sempre ricorre la parola morte. Assente, l'allegria di una città sovente rappresentata piena di sole, di panni stesi, di vicoli chiassosi, di popolani furbi, di donne con la lingua lunga. Immaginario creato in special modo dal cinema, e decisamente ignorato in uno spettacolo che di Napoli mette in luce la malinconia. E il disincanto, l'ironia, la saggezza. Toni Servillo ha tante facce quanti i personaggi cui dà corpo. Varia la postura, le espressioni, mette e toglie gli occhiali. Spiega ogni tanto in italiano i temi conduttori della raccolta, ed è tutto ciò che concede all'uditorio cagliaritano. Non esita a cimentarsi in una sorta di grammelot degno di Dario Fo e si percepisce quanto gli piaccia il suono delle parole.
Protagonista di film memorabili, trasformista di classe, vanta un curriculum di grandi successi. Ha lavorato con Roberto Andò, Matteo Garrone, Marco Bellocchio. È stato Jep Gambardella dalle giacche sgargianti, nel cult “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino e, diretto sempre da Sorrentino, incarna Silvio Berlusconi nel recentissimo “Loro”. È il nome più noto della compagnia che in questi giorni rievoca al LAC di Lugano i musicisti dell'orchestra di deportati che si formò tra il 1941 e il 1944 a Ferramonti, in Calabria. Fondatore con Mario Martone di Teatri Uniti, persona d'impegno civile, chiude il suo melologo con “'A livella” di Antonio De Curtis. Ovvero Totò, il genio.
Gli spettatori lo accolgono con entusiasmo. Lui, vestito di nero, sorridente e consapevole del proprio talento, s'inchina più volte. Ringraziando gli astanti e le opere cui ha attinto, in una lista che va dall'Ottocento in poi. Tributo a Ferdinando Russo - sua la dolcissima canzone “I' te vurria vasà” -, a Alfonso Magione, ai contemporanei Mimmo Borrelli, Enzo Moscato, Michele Sovente. Anime di una Napoli leggibile in tanti modi, appassionati e talvolta critici, indulgenti e severi. Un posto in cui il mariuolo discute con San Giuseppe, alla pari. E convoca l'Onnipotente, non avendo alcun rispetto per la gerarchia.
Alessandra Menesini