Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

I testimonial della lingua sarda Attori, scrittori e campioni dello sport: «Ecco perché l'amiamo»

Fonte: L'Unione Sarda
11 dicembre 2017

Nei giorni scorsi alcuni studiosi hanno esortato gli artisti all'impegno per gli idiomi isolani

I testimonial della lingua sarda Attori, scrittori e campioni dello sport: «Ecco perché l'amiamo» 

Jacopo Cullin parla in sardo con gli amici, col nonno di Villacidro e con i vecchi in generale. «Quale altra lingua potresti usare per comunicare con tanti dei nostri anziani?». La sua, spiega, è una lingua mescolata. «Il villacidrese della famiglia di mia madre, un po' di cagliaritano e poi il dialetto di Sant'Antioco». L'attore e regista cagliaritano, classe 1982, esordio coi Lapola poi studi e lavoro nella penisola, dice che usa il sardo «un po' come vanto fuori dalla Sardegna. Ma non per farmi bello di una cosa che non posseggo: io testimonio la bellezza e l'importanza della lingua sarda anche col mio lavoro».
I TESTIMONIAL I giovani non parlano in sardo, gli over 40 lo stanno reimparando, i vecchi ne sono gli unici custodi. Tra leggi monche, studiosi che si accapigliano, progetti scolastici a singhiozzo, davvero resiste il sentimento di vergogna dei sardi che parlano la lingua dei padri? «Viene ancora considerata la lingua della marginalità, dell'arretratezza e della povertà», hanno detto nei giorni scorsi diversi studiosi, tra questi Ivo Murgia, scrittore ed esperto di didattica del sardo, e Maurizio Virdis, docente di linguistica sarda all'Università di Cagliari. Studiosi convinti che uno dei passi da fare per salvare gli idiomi dell'Isola sia «una campagna di comunicazione per dire che la nostra lingua è viva, affascinante e moderna. E i testimonial potrebbero essere gli artisti, gli scrittori, persone di successo insomma».
TRA CAGLIARI E SASSARI Sicché sentiamone qualcuno. Jacopo Cullin puntualizza che no, «non credo sia producente una campagna pubblicitaria in cui io dico: parlate in sardo. Lo parlo io, ecco tutto». Stefano Manca, invece, la farebbe al volo. Quarantacinque anni, sassarese, col fratello Michele forma il duo comico “Pino e gli anticorpi”, tra le stelle del cabaret nazionale. «Credo che una campagna sia addirittura necessaria. Un'altra cosa che potrebbe senz'altro fare la Regione è investire sulla tecnologia, sulle applicazioni didattiche. Ce ne sono di straordinarie che insegnano l'inglese e le lingue straniere, lo si potrebbe fare per il sardo no?». Lui e il fratello parlano con gli amici un sassarese «infarcito di slang. Siamo la generazione della frattura: i genitori si rivolgevano a noi esclusivamente in italiano, sicché abbiamo esercitato fuori casa. Io dico che è fondamentale imparare e parlare il sardo, anche per i ragazzi. Una lingua è sempre la chiave di accesso a una cultura e a un patrimonio di saggezza».
IL CAMPIONE DI VILLACIDRO Quando torna a Villacidro, il suo paese, parla in sardo anche Fabio Aru, 27 anni, campione italiano di ciclismo. «Sì, lo parlo bene, soprattutto con gli amici lo uso normalmente. Nelle occasioni pubbliche mi esprimo in italiano, ma quando capita uso volentieri la nostra lingua. Se credo sia giusto promuoverla? Sicuramente. Andrebbe introdotta come materia di studio nelle scuole».
PROIBITO A SCUOLA Cristina Caboni, scrittrice di grande successo internazionale, ricorda il tempo in cui «a scuola era proibito esprimersi in sardo e anche i genitori si rivolgevano ai figli in italiano». Classe 1968, casa e famiglia a San Sperate, dice che «viviamo in una sorta di limbo: in casa sentiamo parlare in sardo e così lo comprendiamo tutto, ma poi non lo usiamo. Il problema è che perdendo la lingua, perdiamo una parte fondamentale dell'identità. Parole, concetti, idee che non si recuperano più». Lei, che pure non parla il campidanese («a parte qualche parola»), racconta di aver usato parole della lingua sarda per uno dei suoi romanzi. «Ci sono concetti che in italiano non esistono».
IL CANTO Rossella Faa, cantante e attrice, radici a Masullas, San Niccolò Gerrei e San Vito, dice che farebbe sì, la testimonial. Vive a Cagliari da trent'anni e perciò, spiega, «parlo più che altro in italiano ma amo la lingua sarda: la mia è un campidanese misto. Più che parlare, però, mi piace cantare, mi richiede ». Come tanti ha iniziato a esercitarsi fuori casa. Lei addirittura a Bologna. «Ero lì per i miei studi. Vivevo con una ragazza di un paese vicino al mio, che parlava un campidanese antico». Il sardo è una lingua viva, avverte, «straordinario veicolo di immagini perché, rispetto all'italiano, si avvicina uno scalino di più alla poesia».
Piera Serusi