Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Il cucchiaio di alluminio: Marinetti e la cucina futurista

Fonte: L'Unione Sarda
1 aprile 2009


Abbasso gli spaghetti, viva l'agnello in salsa di leone Il professor Frassica spiega la gastronomia d'avanguardia

Qualche ipercritico dirà che tra mostre, convegni e dibattiti sui cent'anni del movimento, arriveremo presto a raschiare la pentola del futurismo.
Se non fosse che la pentola è ricca e ottimamente colmata, e così pure le casseruole, i tegami e le zuppiere. Leggere, per credere, “La cucina futurista” di Filippo Tommaso Marinetti e Fillìa, recentemente ripubblicato da Viennepierre edizioni (272 pagine, 20 euro) a cura di Pietro Frassica, docente di Letteratura Italiana a Princeton. Oppure vada direttamente ad ascoltare il professore, che oggi pomeriggio alle 16 terrà una conferenza nell'aula magna della facoltà di Lettere di Cagliari su “Pirandello: dalla narrativa al teatro - Rapporti con la cultura europea” e domani alle 18, sempre a Cagliari, illustrerà “La cucina futurista tra creazioni culinarie e arti figurative” all'Exmà in via San Lucifero 71, dove dopo la conferenza si terrà un buffet marinettiano. Se l'appuntamento gastronomico avrà lo stesso successo del libro, meglio arrivare puntuali e non piazzarsi troppo lontani dalla tavola. “La cucina futurista”, spiega il docente, era un libro dimenticato, finito in una soffitta dell'editoria, o meglio in un freezer: l'interesse degli studenti lo ha indotto a proporre la riedizione anastatica, e il pubblico gli ha dato ragione.
Tutti cultori del futurismo, o solo golosi?
«Non è tanto la gola, o solo la gola, al centro di questa operazione. Marinetti elaborò una cucina che può apparire strana, eccessiva, che aveva messo a punto per provocare un pubblico gastronomicamente ingrigito, rimasto fermo all'Artusi e allo sformato della Signora Adele - che detto tra parentesi è ottimo, anche se oggi avremmo da rimproverargli il tasso di colesterolo. Ma prima che bizzarra, la cucina futurista era sinestesica, ideata per coinvolgere tutti i sensi. Il tatto, certamente, e come è ovvio anche il gusto, ma pure l'olfatto e l'udito avevano ruoli fondamentali, tanto che durante le degustazioni profumi e brani musicali entravano in gioco quanto le pietanze. Quanto alla vista, le forme e i colori avevano una rilevanza tale che a un certo punto Marinetti dà tutte le istruzioni per confezionare un piatto, elenca gli ingredienti, illustra la cottura e poi dice: quando è pronto mettetelo in tavola e guardatelo. Non è da mangiare».
Per chi cucinava Marinetti? A proposito: pensa che cucinasse davvero?
«Era un uomo ricco che viveva in una splendida casa trasformata in un quartier generale del cosmopolitismo culturale, dove artisti, architetti e scrittori andavano a fargli visita. Escluderei che avesse il tempo di mettersi ai fornelli».
In effetti. Ma le ricette a chi erano rivolte?
«All'uomo moderno: vivo, attivo, aggressivo. Per certi versi questo è un libro profetico: basta pensare ai drive-in già ai primi anni '50, con le ragazze che arrivavano sui pattini, agganciavano un supporto alla portiera dell'auto e servivano hamburger e Coca Cola. È uno scenario che in embrione ritroviamo tra le pagine della “Cucina futurista”, come in generale tutto il fenomeno fast food»
Forse gli sarebbero piaciute le barrette energetiche.
«Se è per questo teorizzava già le pillole nutritive, ma anche i cibi compatti e serviti in kit che ricordano le razioni degli astronauti. Tutta la sua gastronomia è percorsa dalla contraddizione tra un'elaborazione profondamente colta e la spinta a un'alimentazione in sintesi. Da un lato piatti ricchi di rimandi e di significati, dall'altro cibi in grado di formare corpi agili e snelli, che potessero viaggiare sui suoi leggerissimi e rapidissimi treni in alluminio. Basta con il ferro, basta con il legno: l'alluminio avrebbe trasportato questi uomini moderni e lievi».
Tra il forno a microonde e il sifone dello chef catalano Adrià che cosa avrebbe scelto?
«Marinetti sarebbe impazzito per il microonde: la sola idea di trasformare un cibo in pochi istanti lo avrebbe mandato in visibilio».
Ma che cosa suggeriva di mettere in tavola?
«Beh, non tutte le sue ricette sono davvero proponibili. L'agnello in salsa di leone, ad esempio, mi pare poco praticabile. Ma la scorsa settimana a Catania ho partecipato a un banchetto marinettiano e devo dire che ho assaggiato un'ottima gelatina di malvasia».
Sembra un piatto più decadente che futurista.
«E infatti lo è: si tratta evidentemente di una cucina per ricchi, non certo per i braccianti degli anni '30. Era un'Italia prevalentemente agricola, dove la carne compariva in tavola una volta alla settimana e per il resto si andava avanti con la pasta e i legumi».
A proposito: di un bel piatto di spaghetti non si parla neppure, vero?
«Esclusi categoricamente: Marinetti puntava al rinnovamento e quindi chiedeva l'abolizione della pastasciutta».
Un po' drastico.
«Direi provocatorio, in realtà sapeva benissimo che eliminare la pasta avrebbe condannato alla fame la maggioranza dei connazionali. Eppure nella sua proposta non c'è solo goliardia: l'Italia consumava molto più frumento di quanto ne producesse, chiedere di abbandonare gli spaghetti e di prediligere il riso era un modo sottile ma non oscuro di indicare la necessità di scelte autarchiche. In realtà non era “quel pazzo di Marinetti”, come lo definiva Pirandello nelle sue lettere».
A proposito di Pirandello: in questi giorni è accusato di aver scopiazzato gran parte del suo celebre saggio sull'umorismo.
«L'umorismo è un tema che in quel periodo attraversava la cultura europea e induceva molti autori alla riflessione. Pirandello ha sicuramente preso atto di questo dibattito e lo ha fatto suo, così come ha più volte riproposto sue idee originali in diversi contesti. Era un grande riciclatore, che conservava i concetti nel laboratorio della sua mente per poi riutilizzarli. Trattarlo come uno scolaretto copione significa non conoscerlo».
CELESTINO TABASSO

01/04/2009