Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Le sfolgoranti letture di Hager tra Mendelssohn e Beethoven

Fonte: La Nuova Sardegna
10 marzo 2009

MARTEDÌ, 10 MARZO 2009

Pagina 33 - Cultura e Spettacoli

Comunale, scialba esecuzione di De Palma nel «Concerto» di Grieg






GABRIELE BALLOI

CAGLIARI. Ha venticinque anni Edvard Grieg quando compone il famoso «Concerto in la minore per pianoforte e orchestra» op.16. Da poco convolato a nozze, allietato dalla nascita della figlia Alexandra, stimato da alcuni illustri colleghi (primo fra tutti Franz Liszt) ed in giro per l’Europa a dar concerti di pianoforte o a dirigere orchestre, si trova in un momento felice della sua vita. Tutta la serenità, l’entusiasmo e la gratificazione del periodo si direbbero sfociare nella stesura, quasi di getto, del celeberrimo capolavoro pianistico. Scritta nell’estate del 1868, è considerata a tutti gli effetti una delle composizioni più popolari di Grieg: per la freschezza e l’immediatezza dei profili melodici, per l’originale gusto preimpressionistico, per l’esotismo nordico delle armonie o per le soluzioni timbriche che anticiparono spesso gli orizzonti sonori di un Debussy o d’un Ravel, per quella soave e languida raffinatezza dei motivi tematici, a cui furono debitori senz’altro Puccini e i suoi seguaci. Venerdì e sabato, per la Stagione concertistica del Lirico, è stato Sandro De Palma ad eseguirlo con l’orchestra dell’Istituzione diretta da Leopold Hager. Allievo di Vincenzo Vitale, De Palma non sembra però del tutto in sintonia col «Concerto» di Grieg. Indubbiamente, ne sa esaltare certe rarefazioni, certe sfumature che evaporano nel silenzio, delicatezze finissime alle quali, tuttavia, non fanno da contraltare colori altrettanto definiti. Mancano spesso le tinte più accese, come se gli splendori boreali della musica di Grieg venissero ammantati di nebbia. La direzione di Hager, comunque attenta e precisa, non basta a illuminare l’interpretazione troppo umbratile ed evanescente di De Palma, che nei passaggi più rapidi a volte perde pure in chiarezza. Sfolgorante invece la lettura che Hager dà della Quarta Sinfonia in la maggiore detta «Italiana», op.90 di Felix Mendelssohn. Un autentico saggio di bravura nell’evitare colorismi eccessivi, nel restituire ogni tempo sinfonico con eleganza di fraseggio e trasparenza orchestrale. Va detto poi che Hager ha saputo ricavare nell’insieme un suono “prettamente romantico”, trovando in Mendelssohn una sonorità di calore avvolgente, vellutata. Altre due cose paiono evidenti in Hager: la grande cura messa nel “legato” di tutta l’orchestra, ed un certo piacere a far cantare la sezione degli ottoni, come si poteva notare anche in «Leonore n.3 in do maggiore, op.72» di Beethoven, una delle quattro ouverture del «Fidelio», con cui esordiva il programma del concerto.