Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Una parità ancora da conquistare

Fonte: La Nuova Sardegna
9 marzo 2009

DOMENICA, 08 MARZO 2009

Pagina 37 - Cultura e Spettacoli

La ritualizzazione dell’evento ormai ha assunto toni grotteschi, dagli spogliarelli all’aver ingaggiato il «Califfo» Califano



C’è poco da festeggiare: la crisi pesa di più su lavoratrici e madri



Mai come quest’anno sull’8 marzo pesa il tema della violenza, almeno dal punto di vista mediatico: ma a ben guardare molti reati avvengono in famiglia

EUGENIA TOGNOTTI

Non è un 8 marzo come gli altri quello che arriva, in questa coda gelida d’inverno senza presagi di primavera - meteorologica e metaforica -, nel pieno di una drammatica crisi economica e di una vera e propria emergenza stupri. Non che, beninteso, questo giorno delle mimose non si annunci anche in questo difficile 2009 con la stessa liturgia degli ultimi anni in cui è andato sbiadendo il suo grado di parentela con le giornate di lotta e di protesta per i diritti negati negli anni caldi e arrabbiati del femminismo; e, perdendo il contatto, soprattutto tra le più giovani, con l’8 marzo di morte su cui è fondata - tra mitologia e storia - la celebrazione della giornata della donna: la tragedia delle 167 operaie tessili perite nel 1908 in un incendio dopo lo sciopero nella Triangle Waist Company di New York, dieci durissime ore di lavoro al giorno in ambienti angusti e spazi ridotti, sotto l’occhiuto controllo di spietati sorveglianti.
La ritualizzazione dell’evento segue dunque anche quest’anno lo stesso schema: incontri, happening, offerte benessere in Beauty farm, mazzetti di mimose in vendita nei supermercati, serate “di genere” in pizzeria o in discoteca con spogliarelli maschili, tanto per affermare - almeno su questo ininfluente piano - una forma di “parità” con gli uomini. Non per niente, il business sulla festa della donna si è arricchito e su Google proliferano offerte speciali e annunci pubblicitari come questo, uno dei tanti: “Spogliarellisti 8 marzo. Strip-tease da urlo per l’8 Marzo. Prenotali ora, non te ne pentirai!”. Sono previsti, naturalmente, anche cortei, manifestazioni, incontri con protagoniste del femminismo storico, dibattiti in paesi e città, organizzati da volenterose commissioni di parità nominate dai partiti. Non mancano neppure le iniziative istituzionali, tra cui quella, chiacchieratissima, del Comune di Roma che sponsorizza un concerto di Franco Califano, che si terrà nel IX municipio, quello della Caffarella e dello stupro di San Valentino. Peccato che il Califfo sia reduce da una conferenza all’Università di Roma 3, organizzata da Azione Universitaria e durante la quale ha affermato di aver avuto 1700 donne, gloriandosi della sua fama di macho: «Le donne mi danno del maschilista? Cazzi loro. Io dico che mi hanno sempre amato». Una bella lezione di educazione sentimentale, per i giovani, non c’è che dire. Capace di trasmettere valori alle nuove generazioni e di formare all’affettività e alla comunicazione tra i sessi.
Ma, al di là dell’aspetto ludico della festa, ormai di routine, c’è di nuovo, quest’anno, uno scenario reso cupo da molti fattori, primo tra tutti la crisi economica. La disuguaglianza di genere nel mondo del lavoro, presente da sempre - come ha rilevato oggi il Rapporto annuale dell’Organizzazione internazionale del lavoro sulle “Tendenze globali dell’occupazione femminile” - rischia di essere aggravata dalle difficoltà economiche, di fronte alle quali le donne sono in una posizione più debole. Se già prima della crisi, la maggioranza delle donne attive - anche quel segmento altamente scolarizzato - lavorava nell’economia informale con basse retribuzioni e una scarsa protezione sociale, ora c’è da aspettarsi che la situazione peggiorerà. In presenza di un tasso di occupazione più basso sarà più difficile l’accesso al mondo del lavoro per le giovani donne e l’altra metà del cielo dovrà far fronte alla grave situazione economica lavorando più ore o accollandosi il peso di molti lavori precarizzati e a basso reddito, oltre a farsi in quattro per svolgere i compiti richiesti dai servizi di cura e dalle relazioni familiari. Aumenterà la povertà femminile, sempre esistita, ma nascosta in generiche statistiche e all’interno dei nuclei familiari. Insomma le donne - è facile prevedere - dovranno subire l’impatto della crisi e faticare ancora di più per tenere il passo nel ruolo loro assegnato di perno centrale delle reti di relazioni tra generazioni, destreggiandosi tra lavoro, casa, figli non autosufficienti da mantenere e genitori anziani da accudire.
Ma questa giornata della donna (se non si vuole chiamarla festa) arriva nel pieno di un’altra emergenza del nostro quotidiano, quella della violenza sulle donne e degli stupri, un problema politico e sociale. di prima grandezza in Italia che il senso comune tende a rappresentare come un Paese “assediato” da gruppi immigrati portatori di culture minacciose, distogliendo lo sguardo dalla storia che è lì a dimostrare che i maschi hanno esercitato violenza nei confronti delle donne indipendentemente dalla cultura d’appartenenza; e dimenticando, naturalmente, la nuda e cruda realtà delle cifre che raccontano la stragrande maggioranza delle violenze avviene tra le mura di casa, in inferni domestici tutti italiani, e sono commessi non da migranti senza patria e senza casa, ma da maschi connazionali e cattolici.
Questi temi si affacceranno oggi, 8 marzo, nei discorsi che politici e figure istituzionali a vari livelli terranno in diverse manifestazioni ufficiali, grandi e piccole. Ma per tener viva l’attenzione - al di là dei Tiggì di mezzanotte di questa giornata - occorrerebbe che la rappresentanza femminile nelle sedi del potere e delle decisioni politiche fosse più ampia e basata sulle competenze e non sulla scelta discrezionale delle segreterie dei partiti che privilegiano mogli, figlie, nomi che pesano, meglio se di bella presenza. Cosa che di certo non aiuta a moltiplicare le voci femminili nel dibattito pubblico e su temi difficili - la politica, l’economia, la biopolitica - e anche in quelli che investono più da vicino la vita delle donne, in cui la parola continua ad essere prevalentemente maschile, in uno spazio della parola pubblica che nel nostro paese si sta sempre più riducendo con le donne, prive di potere reale e mediatico, ridotte quasi al ruolo di comparse o al silenzio. E il silenzio che nella società romana delle origini aveva persino una divinità, naturalmente femminile, di riferimento - Tacita Muta - non ha mai aiutato e non aiuta, si sa, a costruire una società più giusta, per le donne e per gli uomini.