Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Nautica, comanda la bonaccia

Fonte: L'Unione Sarda
27 aprile 2015

Sono ancora troppe le difficoltà che i naviganti incontrano lungo la rotta dello sviluppo

I diportisti in transito apprezzano la città ma chiedono servizi 


La Coral wind dondola leggera, nel porticciolo turistico Marina di Sant'Elmo, davanti alla Calata dei Mercedari. Peter e Catterall, lui ex cartografo e lei casalinga di Manchester, fanno colazione sul ponte della loro barca a vela, riscaldandosi al sole tiepido del primo mattino. Hanno fatto tappa a Cagliari nel 2013. «Dovevamo starci un mese, ci siamo due anni», raccontano. «Abbiamo trovato una città amichevole, disponibile. Sì che partiremo, ma siamo pensionati e di tempo ne abbiamo parecchio».
I NAVIGANTI Davanti a loro, dall'altra parte del pontile galleggiante, c'è l'Australia. John Lavatt comanda un meraviglia da 15 metri, Sabbaticus , acquistata in Inghilterra per godersi la pensione e raggiungere la Grecia. «Ho visitato due porti: Gibilterra e Palma di Maiorca, qui ho trovato un approdo molto buono». Ai diportisti stranieri la distanza del porticciolo dalla città non spaventa. «Siamo abituati a camminare». E ancora: «Usiamo le bici, qualche volta il bus o il taxi». E non spaventa neppure la lontananza di negozi e centri commerciali. «Per la cambusa basta ordinare e oggi te la portano direttamente in barca. Non è più come un tempo», raccontano Peter e sua moglie Catterall.
LE DIVERGENZE Non la pensano tutti così, i diportisti in transito. Per alcuni, la città resta lontana. Come accade in maniera ancor più accentuata per gli approdi di Capitana, di Villasimius, di Teulada. È anche questa «una questione aperta della nautica», un aspetto tutt'altro che secondario di un mondo che in questi ultimi anni sta conoscendo una crisi senza precedenti dopo il boom di quindici anni fa, quando il mercato navigava a vele spiegate e faceva ben sperare.
LA RABBIA Marco Deplano è l'amministratore delegato di Marina di Sant'Elmo. Cinque pontili galleggianti, 300 posti barca e un 10 per cento destinato al transito, una Club house, spogliatoi, docce, toilette e un bar con terrazza sul mare. Ma anche una vasta area per il rimessaggio e cantieristica. «Crisi? Guardi, è così forte da aver coinvolto anche professionisti come notai, ingegneri, avvocati. E per colpa della crisi mancano le buste paga. È una catena che si morde la coda. Nel nostro cantiere abbiano deciso di allestire degli spazi per il fai da te, ovvero per chi non ha soldi da spendere per pagare personale specializzato».
LE CAUSE A sentire gli operatori, le cause sono note. E se la vera madre della batosta ha aspetti economici internazionali, le colpe locali esistono eccome. «Intanto la burocrazia. Basti pensare che per poter cominciare a operare dopo aver ottenuto la concessione dell'area ci abbiamo messo dieci anni», sbotta Deplano. «E il nostro non è certo un caso isolato. Se poi aggiungiamo i tempi delle concessioni il gioco è fatto. Troppo brevi per spingerti a investire grosse cifre. Però devi farlo per garantire ai tuoi ospiti un Marina di classe e servizi adeguati».
I SOGNI Un progetto inseguito dai porticcioli cagliaritani e da chi gestisce spazi per la nautica all'interno del grande scalo cagliaritano. Intanto resta ferma la denuncia per un numero insufficiente di attracchi. Chi governa gli approdi, poi, si scontra con una montagna di difficoltà. «È ancora la burocrazia a mettere i bastoni tra le ruote», dice Davide Gorgerino, velista e amministratore del Carloforte Sail Charter, che nel porto di via Roma, molo Sanità, gestisce una serie di attracchi per noleggio imbarcazioni e charter. Per lui, il problema dei servizi resta una questione irrisolta, una spina al fianco del diportismo. «È un problema molto sardo, quello dei porticcioli distanti dai centri abitati, che purtroppo coinvolge anche Cagliari. Per non parlare delle infrastrutture di sostegno agli approdi. Cito un caso: in porto c'è l'ex sede dell'Autorità portuale e altri edifici pressoché inutilizzati. Mentre noi titolari di concessioni continuiamo a lamentare carenza di spazi».
Andrea Piras