Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

«Noi, ultimi teatranti Tra Brecht e Miller»

Fonte: La Nuova Sardegna
22 aprile 2015

Intervista con Elio de Capitani, da oggi in tour in Sardegna
Sarà protagonista di “Morte di un commesso viaggiatore”

di Roberta Sanna

CAGLIARI Avvicinarsi al dramma di Arthur Miller "Morte di un commesso viaggiatore" non come ad un classico ma come ad una sfida, e con la consapevolezza che «non sia mai stata portata veramente a compimento l'intuizione di Miller nel '49». Questa l'ambizione, premiata dai riconoscimenti ricevuti e dal successo di pubblico e critica, dichiarata da Elio De Capitani, regista e protagonista, con al fianco Cristina Crippa, dello spettacolo del Teatro dell'Elfo in scena da stasera alle ore 20.30 sino a domenica (ore 19) per il Circuito regionale Cedac al teatro Massimo. «Perché - così sottolinea il regista e attore - se si considera un classico come qualcosa di già noto, da contemplare,lo si congela». «Invece – continua – è sorprendente quanto sia ancora incandescente. Un classico lo è, ma ha una forza prorompente proprio per noi adesso... Strano perché il '49 non era un'epoca di crisi per l'America. Ma anche nel boom economico le persone sono spiazzate, perché non tutti viaggiano alla stessa velocità. Il punto di forza dello spettacolo è il fatto che trascende l'epoca in cui è stato scritto e anche la nostra.Non è "attuale", è qualcosa di più : è profondamente attinente al periodo in cui viviamo. A quello che succede nei momenti di transizione: la società cambia e i sogni di una generazione si scontrano con la mancanza di sogni di quella successiva. A volte perché i sogni non ci sono, come adesso - vedi il tasso della disoccupazione che ormai sfiora il quarantanove per cento - a volte perché qualcuno non è adeguato, non ce la fa a competere». Il rapporto padre/figli è uno dei nodi dello spettacolo, i cui temi sono tanti. «Potrei parlarne per ore, anche delle scoperte… sembra strano dopo tanti anni. Però le ho fatte. Tutti i personaggi hanno una visione meno stereotipata, alcuni sono visti in una luce inedita. Io – così approfondisce – insegno all'università e vedo che questo punto è lacerante nel dialogo fra le generazioni. Biff, uno dei figli del protagonista Willy Loman, è un modello molto interessante. Non è un uomo di successo, non è un ragazzo realizzato, ma riesce, a differenza degli altri, a fare un suo percorso di emancipazione dalla gioventù verso la vita adulta: accettarsi. È un modello emotivo fortissimo, perché propone a suo padre una pace dei sentimenti nell'accettare quello che si è. È la conquista più importante fra genitori e figli. Vedo in continuazione conflitti che si protraggono fino e oltre la morte, per quella mancanza di accettazione di due visioni del mondo» Una verità colta anche dagli attori nel ruolo di figli, impegnati in un tema simile anche nello spettacolo portato qui l'anno scorso “The History Boys” e che sono nuova linfa alla storica compagnia, molto attiva anche come scuola di teatro. «Forse siamo l'ultima scuola che ha attinto da due grandi filoni del teatro contemporaneo facendoli saldare. Uno è Stanislavskij e il Teatro d'Arte di Mosca, l'altra è la lezione di Brecht, incompiuta perché è morto troppo presto. Noi ricongiungiamo queste due grandi strade e questo spettacolo ne è un emblema, perché la ricerca interiore, la costruzione del personaggio a partire dalla propria esperienza personale, e la ricerca invece di un rapporto con la platea che è anche un mostrare il personaggio, si saldano in scena. È la dimostrazione che le due scuole non sono in contraddizione. Lo considero, dopo 42 anni di teatro, il mio capolavoro, un punto di arrivo importante del percorso di regista e di interprete».