Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Comunale, la bacchetta di Sebastiano Rolli dirige Verdi

Fonte: La Nuova Sardegna
20 marzo 2015


Lirico

 


di Gabriele Balloi wCAGLIARI C’è ancora Dante, stasera, nelle partiture in programma al Lirico. Se Ciajkovskij, la settimana scorsa, traduceva in musica la storia di Paolo e Francesca dal V canto dell’«Inferno», oggi alle 20,30 e domani alle 19 ascolteremo, invece, le «Laudi alla Vergine Maria» di Giuseppe Verdi, su alcuni versi della preghiera che San Bernardo di Chiaravalle pronuncia nel 33° e ultimo canto del «Paradiso». Ma le Laudi sono solo il terzo dei «Quattro Pezzi Sacri» che, per la Stagione sinfonica, verranno integralmente eseguiti, assieme al «Requiem» op.48 di Gabriel Fauré, nella direzione di Sebastiano Rolli alla guida di Orchestra e Coro del Teatro Lirico di Cagliari. È il decennio 1887-‘97. Per Verdi sono gli anni delle ultime fatiche operistiche, «Otello» e «Falstaff», quando si aggravano le condizioni dell’amata Giuseppina Strepponi, morta a Sant’Agata un anno prima della pubblicazione ed esecuzione a Parigi dei Pezzi Sacri. Considerabili, in pratica, il “canto del cigno” del Cigno di Busseto (celeberrimo epiteto di Verdi), che avrebbe seguito la propria compagna alcuni anni dopo. Suddivisibili in due tipologie compositive, perfettamente alternate tra loro, sono di fatto due pagine a cappella più altre due per doppio coro e grande orchestra. Quelle prive d’accompagnamento sono le suddette «Laudi» e l’«Ave Maria», nata come scommessa contrappuntistica attorno a una “scala enigmatica” (proposta dalla Gazzetta musicale di Milano), vi collaborò finanche Arrigo Boito rielaborando il liturgico testo in latino. Le altre pagine, per converso, risentono stilisticamente della precedente «Messa di Requiem». Sia la ben nota Sequenza di Jacopone da Todi, ovvero lo «Stabat Mater» su cui tanti compositori si son cimentati; sia il conclusivo «Te Deum», il più articolato e ampio dei quattro pezzi, pagina profondamente complessa ed evocativa. Di tutt’altra fattura, ma non per questo meno suggestivo (anzi!), è il «Requiem» di Fauré. Oltretutto nato poco prima dei verdiani Pezzi Sacri, di cui non possiede né le tensioni armoniche, né lo struggimento esistenziale. All’idea della morte, infatti, Fauré si accosta musicalmente con atteggiamento di serena, distaccata raffinatezza, ogni dubbio o timore sono stemperati in un linguaggio limpido, delicato, quasi diafano.