Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Laura Boldrini, io e la Sardegna

Fonte: L'Unione Sarda
20 marzo 2015

 

Giorgio Pisano

F resco di stampa il suo terzo libro (“Uno sguardo lontano”) uscito ieri l'altro, Laura Boldrini sbarca oggi in Sardegna per una visita ufficiale di tre giorni. Lo fa nel segno della donna. Celebra tre sarde che sono autentici giganti (gigantesse non si può dire) della nostra storia: Eleonora d'Arborea, Grazia Deledda e Maria Lai. Non deve stupire in una signora che, appena diventata presidente della Camera dei Deputati, ha fatto cambiare la carta intestata: non più “il presidente” ma “la presidente”. Cinquantatré anni, Alto commissario delle Nazioni unite per quattordici, è stata eletta in quota Sel. Dal primo momento si è caratterizzata come una timoniera decisa e senza complessi. Con una squallida boutade da comico di quart'ordine, Grillo è riuscito a far crescere la sua notorietà e la sua autorevolezza. Con Mattarella, presidente della Repubblica, ha almeno un punto in comune: quando è possibile, evita il protocollo di Stato.
Come nasce questo tour sardo?
«È un dovere delle istituzioni visitare i territori difficili, luoghi dove la crisi morde con particolare ferocia. A parte questo, voglio dare centralità a tre donne di altissimo profilo che non hanno avuto il riconoscimento che meritano. Quella che conosco meglio delle tre è Maria Lai perché alla Camera si è tenuta una manifestazione sulla sua opera».
Tre donne. Ne preferisce una?
«No. Ognuna ha una personalità affascinante...»
Un libro della Deledda che le è rimasto in testa?
«Cenere. Non sono una specialista ma mi ha colpito la storia di Anania che abbandona il suo paesino per andare a Roma, piena di malinconia per quello che si lascia alle spalle e d'ansia per quello che l'aspetta. Credo che il suo sia stato un destino comune a tanti sardi».
La Sardegna e l'autonomia speciale: il governo vorrebbe piallarla.
«Non mi risulta. Non so da dove nascano queste voci ma non ho raccolto nessuna voglia di metterla in discussione. In ogni caso l'autonomia va salvaguardata: per voi è prima di tutto una specialità identitaria, fondamentale per un'isola che è il nostro avamposto sul Mediterraneo».
Siamo anche la regione più povera d'Italia: il Parlamento se n'è accorto?
«Credo che la mia visita lo dimostri: il Parlamento se n'è accorto, eccome. Presenterò ai gruppi della Camera i risultati di questo mio viaggio tenendo conto inoltre che è stata depositata una mozione sulla drammatica condizione della Sardegna. Mi auguro che venga esaminata al più presto».
Abolirebbe la Festa della donna, triste siparietto conformista?
«Fintanto che a lavorare sarà solo il 47 per cento delle donne, l'8 marzo ha un senso; fintanto che ogni anno ne vengono uccise 160-180 dalle persone che dovrebbero amarle, l'8 marzo ha un senso; fintanto che resisterà il gap salariale e non sarà riconosciuto il ruolo di genere, c'è bisogno dell'8 marzo. Ciò non toglie che ci si possa ridere sopra».
In che senso?
«Siccome bisogna saper ridere di noi stessi, mai prendersi troppo sul serio, quest'anno alla Camera abbiamo festeggiato l'8 marzo invitando una straordinaria imitatrice, Gabriella Germani. Ha imitato pure me».
Dicono che lei sia una radical chic.
«Radical chic, io? Mi fa sorridere solo pensarci. Non frequento salotti, non ho un passato di persona che nella vita si è riposata. Potevate incrociarmi a Lampedusa, nei centri di accoglienza, in Iraq, in Sudan o in Afghanistan. Radical chic una così? Mah, mi sembra un'accusa ridicola».
Landini ha spaccato la sinistra?
«Le forze progressiste non stavano aspettando Landini per essere divise. È tramontata un'ipotesi di coalizione delle sinistre. Bisogna darsi da fare per cercare di ricompattare: è innaturale che la sinistra viva frammentata».
Dopo il divorzio di Vendola da Renzi, il “governo del cambiamento” resta una chimera.
«In politica come nella vita si ha il dovere di essere ottimisti, nel senso che continuo a sperare in un governo sostenuto da tutte le forze progressiste».
Ha ragione Civati a dire che per la minoranza dem «la battaglia da vincere è sempre la prossima«?
«Non voglio addentrarmi nelle dinamiche del Pd, non è il mio ruolo».
Renzi l'ha accusata di invasione di campo.
«E io invece penso di essere rimasta nel mio perimetro istituzionale. Il presidente della Camera ha il diritto-dovere di ricordare e difendere le prerogative dell'istituzione. Una dialettica tra i diversi poteri dello Stato è sempre avvenuta. Non c'è davvero da scandalizzarsi: in democrazia è un sano confronto. Eppoi, ci sono tanti precedenti che dimostrano la necessità di un dialogo».
Lega. C'è aria di ritorno al fascismo?
«Ho le mie idee ma sarebbe improvvido, tenuto conto del ruolo, manifestarle. Tuttavia mi preme segnalare che sul web e sui social network c'è un'impressionante quantità di pagine e commenti di ispirazione fascista e nazista. E questo mi pare molto allarmante».
Col M5S c'è una tregua. Ma fino a ieri era tempesta.
«Ognuno decide di utilizzare gli strumenti che ritiene. Oggi con diversi rappresentanti del Movimento Cinque Stelle ho un rapporto collaborativo. Certo, in passato ci sono stati tra me e loro momenti di grande tensione. Ma per quanto mi riguarda, il discorso è chiuso. Quanto a un certo tipo di espressioni, beh, non credo che l'opinione pubblica le apprezzi. Non fanno consenso, insomma».
Ma Montecitorio non doveva diventare risparmioso?
«Tolga pure l'interrogativo: Montecitorio è risparmioso. Io mi sono tagliata lo stipendio del 30 per cento, l'Ufficio di Presidenza ha riformato le retribuzioni stabilendo un tetto e andando a toccare il “maturato”. Nel 2014 sono stati risparmiati alle Casse dello Stato 138 milioni. E tengo a precisare che avremmo potuto non fare nulla, visto che la legge ce lo consentiva».
Uno sguardo dal ponte: cosa vede?
«Sono nata nel 1961, dunque ho visto il mio Paese martoriato dal terrorismo, ho visto servitori dello Stato giustiziati dal partito armato, ho visto apparati deviati impegnati a inquinare la verità sulle stragi. Se l'Italia è uscita da tutto questo, riuscirà a liberarsi anche da questa crisi. Ad una condizione: ognuno deve fare la sua parte».