Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Teatro “Prima del silenzio” al Massimo di Cagliari Due naufraghi fra le cose morte

Fonte: L'Unione Sarda
6 febbraio 2015

 

U n divano/zattera, sul palco del Teatro Massimo di Cagliari. A bordo due naufraghi, compagni provvisori, a vagare nel mare delle “cose morte”. Testo amaro, Prima del silenzio , opera di Giuseppe Patroni Griffi proposta dalla Cedac in collaborazione col Teatro Eliseo e Fuxia contesti d'immagine. Chiusi nel perimetro di un cubo al neon, Leo Gullotta e Eugenio Franceschini si cimentano nei ruoli che furono di Romolo Valli e Fabrizio Bentivoglio nel primo allestimento diretto nel 1979 da Giorgio De Lullo. Precedenti illustri, per un testo incentrato sull'importanza (e sulla scomparsa) della parola. Vengono da mondi diversi, l'uomo e il ragazzo che si attirano e non si capiscono. Il più anziano è incline a raccontare, a trasmettere i suoi ricordi all'incolto giovanotto. Londra, la Costa Azzurra, l'isola dei nudisti, per riportare se stesso a quel che era, o credeva di essere, in un tempo ormai passato. La regia di Fabio Grossi immette elementi contemporanei in questo dialogo per voce sola. Ricorre ai bellissimi video di Luca Scarzella per materializzare nell'apparizione di Paola Gassman la figura accusatrice e recriminante della moglie del poeta che abbandonò villa e agi per ridursi, lei dice, assai male. E quella, squisitamente snob, del maggiordomo, l'inappuntabile Sergio Mascherpa, che si rivolge al suo ex datore di lavoro chiamandolo Signor Professore. Appena più pietoso, il figlio, Andrea Giuliano, anziché offenderlo annuncia al genitore fuggitivo che ha vinto un ambito premio letterario e che un editore ha pubblicato la sua opera omnia. Notizia che non rallegra l'ormai deluso autore. Il traduttore di Thomas Eliot, l'esperto di lirici inglesi, rinnega la sua vita precedente ma non trova niente per sostituirla. Il ragazzo non gli è meno estraneo dei parenti. Ha natura ribelle, non sopporta il “troppo amore”. E non tollera le parole: «Vorrei chiuderti la bocca, schiacciare la tua testa. Sei antico!».
Leo Gullotta alterna con talento i registri del suo personaggio , condensando nei gesti e nelle espressioni dolore, rabbia, dispetto, disprezzo. La paura dell'abbandono, la tentazione della leggerezza, difendendo sino all'ultimo la regalità della parola. Dunque, della comunicazione: «bisogna imparare a parlare per aumentare il volume dei sentimenti». Eugenio Franceschini gli oppone la sua fisicità, il suo anarchico egoismo. Bello, atletico, indifferente alle querimonie, prende lo zaino e se ne va. È un duello, questo atto unico. Una schermaglia senza vincitori molto ben scandita dalle luci di Umile Vainieri e dalle musiche di Germano Mazzochetti. Non è affatto monocorde questa messa in scena che ha per soggetto la scomparsa della capacità di usare i vocaboli per articolare il pensiero. Il pubblico del Massimo ha onorato con molti applausi il tema non facile del fallimento di un intellettuale che non si riconosce più neanche nella sua generazione.
Alessandra Menesini