Rassegna Stampa

web Cagliari Globalist

Fuor di metafora: Cagliari capitale europea della cultura 2019

Fonte: web Cagliari Globalist
14 luglio 2014


Nuovi punti di vista dai bastioni [Mario Salis]
Redazione
sabato 12 luglio 2014 17:38
Commenta


"I calciatori" di Renato Guttuso - Immagine tratta dal web
di Mario Salis

Cagliari capitale della metafora, Cagliari capitale europea della cultura. Non si tratta della disputa baricentrica di una città nella sua Isola, in un Paese che ha già deciso sul destino delle sue più lontane e nuove provincie. La speding review sembra aver neutralizzato ogni genere di localismo, ma nella interminabile stagione degli incendi i focolai non si spengono mai del tutto. La dichiarata incompatibilità delle nuove politiche di bilancio degli enti locali, ha visto invecchiare troppo presto i nuovi enti intermedi, per la verità nati già con precoci segni di invecchiamento.

Della prima, non si tratta della giovane esistenza di una giovane repubblica mentre della seconda è nota l'ambiziosa candidatura di un capoluogo di regione ad un rango superiore di uno stato della cultura, che per sua natura vanta confini incerti, universali. Un progetto, un processo più ampio - come tengono a precisare in Comune - dall'Area Vasta fino a lambire il Sulcis. Più semplicemente una sfida legittima per molti, temeraria per altri.

Sicuramente, non è come candidarsi ad ospitare una futura edizione dei giochi olimpici od una meno impegnativa e più gioiosa tappa di giochi senza frontiere. "Uniti nella diversità" come recita lo slogan europeo, ma le città candidate saranno prescelte non solo sulla scorta delle caratteristiche storico-geografiche, ma per il loro programma in grado di consolidare i legami, i vincoli culturali che presiedono all'identità europea e delle sue genti. La posta in gioco è dalle implicazioni importanti in termini di visibilità, di favorevoli ricadute economiche e di prestigio internazionale. Non si tratta di un generico concorso a premi dove l'importante è partecipare, bisogna vincere. Obiettivi che vanno realizzati attraverso un qualificato percorso di comunicazione, di un nuovo modello di sviluppo fondato su basi prevalentemente culturali.

Di certo invece, è che Cagliari è stata capitale della metafora, come si dice: fuor del suo più autentico significato. Dal 20 al 24 giugno duecento studiosi hanno invaso pacificamente la città, in rappresentanza di cinque Continenti per la conferenza "Metaphor in communication, science and education" giunta con cadenza biennale alla sua decima edizione, dopo quelle titolate: di New York, Copenhagen, Tilburg (Olanda), Manouba (Tunisia), Parigi, Leeds (UK), Càceres (Spagna), Amsterdam, Lancaster (UK).

Promosso dalla RaAM - Association for Researching and Applying Metaphor con il contributo di Linguisticamente, gruppo di ricerca del Dipartimento di Pedagogia, Filosofia e Psicologia, e degli studenti del corso di laurea in Scienze della Comunicazione e del Master in Management dei prodotti e servizi per la comunicazione http://convegni.unica.it/raam2014/. Tra gli esperti del settore dell'Ateneo cagliaritano che hanno organizzato o preso parte al convegno: Elisabetta Gola, Francesca Ervas, Olga Denti, Simone Pinna, John Wade, Moreno Dore, Pietro Storari. L'assessore alla panificazione strategica del comune di Cagliari, Barbara Cadeddu, salutando i lavori, ha sottolineato l'importanza dell'evento per la candidatura europea di Cagliari a capitale della cultura per il 2019.

Lo sviluppo dei media di questi ultimi anni, dilagando nella rete, ha sovvertito antichi equilibri, generato nuovi ambiti, cancellando i confini tradizionali tra la carta stampata e l'etere. Quotidiani, periodici, format televisivi e radiofonici vivono in un perenne stato di provvisorietà. Il linguaggio si uniforma a tali mutamenti, li accompagna più che generarli, talvolta li subisce. Quello giornalistico governato dai canoni tradizionali riconosciuti, ma non sempre condivisi, lascia il passo a quello più onnicomprensivo dell'informazione. Scomparsi gli antichi manuali della retorica, naufragato il mito del "bello scrivere" come se fosse lecito essere poco eleganti e volgari nel parlare, oggi si afferma un linguaggio dettato dalla velocità della notizia, dagli angusti spazi tipografici, dagli approfondimenti insidiati dal circuito delle news senza fine, col delinearsi del pericoloso monopolio, svolto dai motori di ricerca. Non è più il giornalista che fa il sistema ma quest'ultimo che fa il giornalista.
Il linguaggio figurato convive con gli stereotipi, le formule fast food - aggettivi, locuzioni diretto risultato più della pigrizia dell'autore, dei correttori automatici che dalla fretta del sistema. Complice, un misto di leggerezza e di assurda inconsapevolezza che assume indefinite sembianze di oscurità linguistica. I giornali fanno ancora largo uso di metafore, talvolta con evidenti segni di stanchezza oltre che di plastismi estendendo a dismisura il significato originario di parole e di locuzioni fino a naufragare indefiniti.

Ma esiste anche una metafora della città, di quella contemporanea, non sempre rassicurante, che non fa mistero delle sue inquietudini. Le esitazioni ambientali, l'abbandono dei centri storici, un'indiscriminata conversione turistica o da movida pone seri problemi di convivenza al loro interno, le utopie megastrutturali, la dispersione insediativa deportata nelle periferie, di cui si occupa la sociologia, la narrativa e la stessa cinematografia moderna. Perfino l'urbanistica, produce incertezze senza efficaci forme di controllo e di governo.

Tante parole, molte città. L'interpretazione di un progetto urbanistico può dar corpo ad immagini e metafore distinte, come dimostra il geniale intuito dell'urbanista Luigi Piccinato che propone le sintetiche e proverbiali immagini frutto del suo sguardo attento: la stella per Padova, il ventaglio rovesciato ad Arezzo, semplicemente una "M" per Matera, la falce a Castellamare di Stabia, Cagliari è invece un "T" rovesciato, a Siena "Y" è capovolto. L'affascinante metafora del crostaceo viene adottata per descrivere il villaggio di Colletta di Castelbianco, dall'architetto Giancarlo De Carlo, in provincia di Savona.

Le metafore non smetteranno mai di sorprenderci, anche se non sempre riscuotono analogo successo. Così i mondiali di calcio in Brasile che volgono al termine, saranno ricordati come quelli dei tweet e dei selfie, accompagnati dall'insolita indifferenza che ha saluto il rientro degli azzurri in Patria. Quanto lo sport può essere metafora del sistema Paese? Autorevoli e sostanzialmente univoche le risposte: il calcio è una metafora della vita, secondo Jean-Paul Sartre ma anche il suo contrario per il filosofo ed esteta moderno Sergio Givone, peraltro assessore alla cultura nella giunta gigliata dell'allora Sindaco Matteo Renzi. Calcio e letteratura hanno sempre convissuto in una simbiosi ormai consolidata, perfino il Nobel Eugenio Montale di Ossi di Seppia si occupò di calcio, sognando un campionato senza reti: "sogno che un giorno nessuno farà più gol in tutto il mondo". Da Recanati Giacomo Leopardi dedica cinque strofe "ad un vincitor di pallone" esaltando la vigoria sportiva del protagonista mal celando la delusione per una virtù che non potrà mai essere. Umberto Saba si cimenta con 5 poesie in memoria del suo esordio come spettatore della sua Triestina. La più celebre è Goal scritta tra il 1933-34, scampando non si sa come, ai rigori dell'ostracismo forestiero, in pieno processo di italianizzazione autarchica del Regime verso ogni anglicismo, toponomastica compresa. Le veline del Miniculpop avevano diramato il divieto assoluto di usare "parole ostrogote" come campeggiava dalle colonne del Popolo d'Italia del 1938.

Nicolò Carosio radiocronista sportivo cosi celebre, da far correre vincente e vibrante col suo cognome, un trottatore indigeno sugli anulari sabbiosi di Agnano e le Capannelle, fu l'ideatore del folgorante ossimòro "quasi rete" per cui cross, corner, off side, penalty si convertirono ragionevolmente in traversone, calcio d'angolo, fuori gioco e calcio di rigore. Nei suoi resoconti suadenti e palpitanti verso il traguardo della vittoria, stava seduto rannichiato su uno sgabello a bordo campo dell'Amsicora, ancora sprovvista della tribuna stampa. Con prospettiva di gioco raso terra, sfoderava quell'immaginazione che solo la radio permetteva, smentita in parte dall'evidenza televisiva. La sua discesa verso l'uscita dalla diretta televisiva coincise con le qualificazioni ai mondiali del 1970 di Italia- Israele con il caso del guardialinee di colore chiamato col colore della sua pelle, ma più tardi riabilitato con la versione dell'etiope Taraken.

Sir Winston Churchill primo inquilino del n. 10 di Downing Street, apostrofò il genio italico con il caustico umorismo londinese: "gli italiani perdono le partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se fossero partite di calcio". La nazionale di Prandelli ne esce a brandelli ma la vittoria italica è incisa nelle immagini di quel 10 luglio 1982 nello stadio madrileno Bernabeu sul labiale del Presidente partigiano "non ci prendono più", con lo stentoreo campioni del mondo scandito tre volte da Nando Martellini. Correva l'anno 1966 sempre di luglio ma il 19, nella grigia Contea del North Yorkshire nello stadio umido Middlesbrough, una rasoiata di Pak Doo-Ik si infilò imprendibile alle spalle di Riki Albertosi. Il più mancino dei tiri secondo Edmondo Berselli resta Mariolino Corso che non era evidentemente il participio passato del verbo correre, ma un centrocampista a calzettoni scesi che vestiva il n. 11 non essendo un ala, anche quando i numeri sulle maglie avevano un senso e dapprima che giungesse il rombo di tuono di quel giovane di Leggiuno: Gigi Riva in Inghilterra solo come aggregato alla spedizione italiana..

Da quel giorno Corea non fu più solo la travagliata storia di quella fetta contesa di territorio, tra il Mar Giallo e la sua omonima Baia, piuttosto la Caporetto del calcio italiano.

A febbraio nel Liceo Parini di Milano scoppia lo scandalo del giornale scolastico la Zanzara, che promuove un'inchiesta sui costumi sessuali degli studenti. Vi scriveva uno sconosciuto studente come Walter Tobagi. Al clamore si aggiunse anche un regolare processo, per fortuna assolutorio, dei reati contestati di stampa oscena e corruzione di minorenni. A giugno nella guerra del Vietnam: massicci bombardamenti americani. In autunno viene trasmesso il primo episodio di Start Trek, ma solo negli USA.

Il calcio è intrigante perché è una metafora della vita, che si spinge talvolta oltre i confini del consentito e della razionalità, dopo tutto è soprattutto un gioco. Proprio per questo talvolta abusandone e cercando di fare sul serio, non perdona le cantonate. Il recente caso del Presidente dell'Uruguay Iosé Mujica, detto anche Pepe. Non l'ha proprio mandata giù, così, prima ancora dell'eliminazione dell'Uruguay dal Mondiale, il capo di Stato del paese sudamericano, che gira su uno scassato maggiolino ed un trattore agricolo, quando dopo l'espulsione di Suarez ha attaccato le più alte istituzioni del calcio mondiale, non sottilizzando sulla discendenza genealogica della FIFA: una banda di vecchi figli . "Era giusto che lo punissero, ma non che infliggessero sanzioni fasciste". Peccato che il pistolero ribattezzato El mordedor, prima di Chiellini aveva otto analoghi precedenti, di cui tre certificati con impiego dell'arcata dentaria superiore, da far impallidire Miche Tyson quando a Las Vegas il 28 giugno del '97 nel match valevole per il titolo mondiale dei pesi massimi, con un morso stizzito staccò un pezzo di orecchio ad Evander Holyfield.

All'aeroporto di Montevideo accoglienze festose. L'ex el pibe de oro argentino Diego Armando indossa la maglietta: Luisito estamo con vos, visto che non può stare in Italia per altri motivi. Non più pomodori come all'aeroporto Cristoforo Colombo di Genova, la notte del 24 luglio 1966, con seicento tifosi inferociti armati di uova marce e pomodori, in attesa di salutare l'aereo degli azzurri in arrivo da Londra, protagonisti della disfatta contro la modestissima Corea. Neppure agrumi succosi di San Sperate o provenienti dai più lontani ma non meno tifosi giardini di Milis, quando il 20 febbraio 1971 al nuovo stadio di Sant'Elia si giocò Italia-Spagna, con Valcareggi, che lasciò fuori giocatori come Gori, Domenghini, Cera ed Albertosi, protagonisti in Messico insieme a Riva, assente malgrado lui e noi, dopo il secondo incidente di Vienna con la Nazionale. La partita finì 2 a 1 per gli iberici, con il pubblico locale a tifare per i suoi antichi dominatori. La nazionale tornò sul campo del capoluogo squalificato, solo nel 1989 contro l'Argentina.

Enzo Biagi nel 1973, intervista per la Stampa, un'estrosa ala destra: Pier Paolo Pasolini. Il suo ragionamento spiazza il lettore con il dribbling del suo individualismo poetico. Nel suo calcio di prosa, catenaccio e triangolazione diventano le geometrie di Gianni Brera mago dei neologismi. Oltre la sua meta campo dichiara che "il calcio è l'ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l'unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro". Una carriera calcistica giocata negli sterrati di borgata quando la città si disperde a fondo campo spegnendosi nel dramma di quegli ultimi minuti senza recupero, avvolti ancora nel mistero. Nei suoi Scritti Corsari l football è un sistema di segni, cioè un linguaggio. La sua sintassi: la partita.

Come nelle notti magiche di Italia 90, eravamo più che mai consapevoli come Gianna Nannini ed Edoardo Bennato che "una canzone non avrebbe potuto cambiare le regole del gioco", tanto meno il valore delle forze in campo. Invano siamo rimasti ad aspettare un goal di Schillaci, senza averlo inseguito troppo, mentre la costellazione della Croce del Sud in alto tra le mani del suo Cristo Redentore, oggi rimane disegnata non solo a Rio de Janeiro ma sulla stessa bandiera gialla del Brasile, vessillo di una cocente delusione. Sperando che solo qui si fermi.

Dai bastioni della città nuovi punti di vista si dispiegano all'orizzonte, lungo la linea ancora indivisa tra cielo e mare. Immune dal vincolo difensivo dell'antica piazza militare, su Cagliari si posa senza pericoli un primato di luce conteso solo da Cap d'Antibes sul versante della Costa Azzurra Francese, mentre si allunga negli ineffabili tramonti piatti della sua laguna, mal sopportando i rilievi di torri apocrife che non furono mai della città scomparsa.

Le metafore non si cancellano, si conservano eterne sul filo della memoria talvolta si confrontano trasformandosi con quelle di altre città come Napoli "città porosa", coniata dal filosofo tedesco Valter Benjamin, smentendo la presunta inutilità dei filosofi per una città. Singolari le affinità al di sopra delle viscere intricate che celebrano il culto dei morti: le due città più bombardate d'Italia nel secondo conflitto mondiale. Le metafore partenopee si alimentano per germinazione spontanea nei vicoli dei quartieri spagnoli fino a diventare espressione artistica delle proverbiale commedia della sua vita. .

Fu l'attrice ellenica Melina Mercouri, socialista militante tra le file del PASOK, quando nominata ministro della Cultura nella Grecia liberata dal Regime dei Colonnelli, fu ideatrice delle Capitali Europee della Cultura in Europa. Oltre a Cagliari restano candidate Lecce, Matera, Perugia-Assisi, Ravenna e Siena. Una prima frase eliminatoria ha escluso già quindici città, non proprio di provincia, come Venezia, Palermo Pisa, Mantova, Aosta, Bergamo, l'Aquila e Reggio Calabria.

Le tappe per aggiudicarsi l'ambito riconoscimento, prevedono il termine del 21 luglio prossimo, data in cui dovranno pervenire alla commissione giudicatrice i programmi definitivi, così in autunno si conoscerà la città che tra l'altro, si aggiudicherà un premio di un milione e mezzo di euro.

Come dire, Cagliari non è messa male, con la metafora che tesse e disegna nuovi scenari. Lecce: reinventare eutopia sulle orme della sapienza dei confini, millenario ponte naturale sul Mediterraneo; Matera concorre per dare voce ai luoghi dimenticati, seppure ai margini delle arterie virtuali della della modernità, custodi di valori profondi; Perugia-Assisi la fabbrica dei luoghi, a testimonianza della paziente opera di ricostruzione del tessuto sociale, culturale ed umano; Ravenna punta sul mosaico di culture, metafora della diversità e degli aspetti comuni, interpretati con la forza e capacità di stare insieme attraverso il coinvolgimento dei suoi abitanti; Siena, fuori dall'anello di tufo di Piazza del Campo: cultura, salute e felicità ma anche (in) giustizia sociale, con l'abbattimento delle barriere architettoniche, che dire di Leonardo500, nell'anniversario della morte del Genio toscano. Creatività ed innovazione proiettate nel futuro.

E' indubbio che un fermento particolare percorre Cagliari, proprio mentre Comunica senza Frontiere giunge alla sesta edizione del Festival della Comunicazione, grazie al Social Media Team, composto dagli studenti del corso di laurea in Scienze della Comunicazione e del Master in Management dei prodotti e dei servizi della comunicazione dell'Università di Cagliari, coordinato dal manager didattico dei corsi Valentina Favrin - com.unica.it/csf -.

Insomma l'Università sta dimostrando di fare la sua parte sul territorio. Processi per la verità già in atto fin dagli anni Novanta, proprio nell'Ateneo di Siena, eccellenza nel settore della multimedialità durante i delicati mutamenti in atto nel mondo dell'informazione e della comunicazione.

Ma la cultura non è solo linguaggio, determinante per la sua divulgazione, è soprattutto potere. Una città distratta, estranea a tali processi, che subiscono la tentazione degli ambiti ristretti tipico delle avanguardie, non porterebbero da nessuna parte. La politica, può, deve fare di più. Altre istituzioni paradossalmente, forse di meno. Una maggiore autonomia dell'informazione verso il potere economico e politico, senza precarietà, isterismi o sensi di colpa aiuta la formazione culturale dell'opinione pubblica. Come nelle vecchie cartine geografiche dell'Europa in vendita nelle cartolerie in prossimità delle scuole, quella fisica: catene montuose, laghi e fiumi, quella politica colorata, dove si giocava a trovare le capitali.