Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

L'amore scioglie anche le pietre

Fonte: L'Unione Sarda
30 giugno 2014


Lirica Turandot, applausi alle scenografie di Sciola 

 

“ N essun dorma”, canta Calaf mentre attende l'alba che deciderà il suo destino. Attorno a lui, i bianchi grattacieli di una Pekino nebbiosa restituiscono livide atmosfere alla Blade Runner. Sono proprio quelle sculture aeree, così diverse dai monoliti precedenti, a dirci che il cuore di pietra di Turandot si sta sciogliendo. Più forte della sua sete di vendetta sarà l'amore del principe straniero. Ma sarà soprattutto il sacrificio di Liù ad aprire mondi nuovi, ad abbattere le mura insormontabili di cui la principessa di gelo si è finora circondata. Tutto finisce, bruscamente, sul mi bemolle dell'ottavino che segna il sacrificio della piccola schiava innamorata. È lei a trasformare in tragedia l'horror-fantasy di Carlo Gozzi, così distante dai nostri cuori.
Il terzo atto dell'incompiuta di Giacomo Puccini dura poco più di venti minuti: a condurlo verso la conclusione - in questo allestimento che ha debuttato ieri sera al Lirico di Cagliari - non c'è stavolta la musica di Franco Alfano. L'opera si chiude come alla prima della Scala del 1926, diretta da Toscanini: muore Puccini, muore Liù, (un'applauditissima Maria Pilleri), e con lei la sete di vendetta di Turandot. Cala il sipario, ed è giusto che sia così. Non vedremo la metamorfosi della principessa altera, ma sappiamo che ci sarà, e questo ci basta. Ci basta immaginare che quelle pietre di calcare, nate dall'acqua, si sciolgano e lascino scorrere le emozioni.
Ed emozionante è stato l'applauso che ieri ha accolto la prima di questa attesa messinscena firmata da Pinuccio Sciola. È lui la carta a sorpresa di una produzione che conta - per l'aspetto visivo - sulla regia di Pier Francesco Maestrini, sulle luci di Simon Corder e sui costumi, così geometrici ed essenziali, del cagliaritano Marco Nateri. Lo scultore di San Sperate, all'esordio come scenografo di un'opera lirica, ha messo la sua arte al servizio della storia, inondando le scene col bianco del calcare, facendo cadere dall'alto gigantesche maschere di basalto - una per ogni vittima della principessa - inventando un pavimento di vuoti e di pieni (sempre calcare, o meglio, sempre polistirolo), che rappresenta un grande cruciverba. Ci suggerisce, forse, che la base del nostro essere al mondo è un monumentale enigma.
Una vicenda modernissima, che racconta di una violenza lontana, una ferita non rimarginata, un mondo chiuso. Fatto di dominatori crudeli, o imbelli come Altoum, di vittime e di servi pronti a diventare carnefici, pur di aver salva la pelle. E non è un caso che a rompere l'equilibrio di questo mondo soffocante siano tre stranieri. Calaf, suo padre - il vecchio esule Timur - e la piccola Liù (che nella favola di Gozzi non è contemplata): così commovente, così simile a Mimì, a Cio Cio San, al Puccini che amiamo di più.
A domani la critica musicale di una produzione che ha visto sul podio Giampaolo Bisanti, ha registrato all'ultimo momento la sostituzione di Roberto Aronica con Francesco Medda, e ha coinvolto il pubblico cagliaritano, sin dall'esterno, con una stele bianca di dodici metri, e poi all'ingresso, con un'altra di nove. Nel foyer di platea, tra le foto di Attila Kleb, lo scultore ha sistemato due cubi con i suoi grattacieli, per fare sì che il pubblico ritrovi la stessa atmosfera all'aprirsi del sipario sul terzo atto.
Quattordici le repliche, sino al 16 agosto, per questa “Sciolandot” che vuole essere un abbraccio a tutta la città. Sicuramente è un abbraccio al teatro, a chi lo fa con passione e professionalità, e a chi lo ama.
Maria Paola Masala