Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Anteprima Da oggi il romanzo in libreria Quel giudice che si fece rivoluzionario

Fonte: L'Unione Sarda
24 aprile 2014


 

 P er gentile concessione della casa editrice Arkadia e dell'autore , pubblichiamo in anteprima un estratto dal nuovo romanzo di Pietro Picciau (giornalista de L'Unione Sarda) “Le carte del re” (238 pagine, 16 euro) da oggi in tutte le librerie.

Lasciai Parigi la mattina del sei settembre durante l'assalto alle carceri della città e al massacro dei partigiani del re.
Partii verso l'ignoto mentre Parigi bruciava.
Della Sardegna e di Cagliari, la sua capitale, dove sbarcai dopo sei giorni di tranquilla navigazione a bordo del vascello Audace salpato da Nizza, conoscevo appena l'esistenza. Per me l'isola era un punto lontano e anonimo sulla carta geografica.
Nella città governata dai piemontesi avrei dovuto mettermi in contatto con il console Alfonso Guys e avere da lui disposizioni sul mio incarico.
Quando mi apparve nell'alba grigia e umida del suo golfo, il porto di Cagliari era avvolto da una fitta foschia che si dissolse poco prima dell'attracco della nave. Le banchine erano fortificate e popolate da un'umanità variopinta. Accanto a piccole imbarcazioni gruppi di pescatori sistemavano reti e vecchi arnesi consumati dall'uso. Il porto non era grande, ma neppure troppo piccolo. A giudicare dal numero di legni attraccati e di quelli ancorati in rada, di traffici dovevano essercene parecchi. Riconobbi in un molo vicino anche due vecchi galeoni olandesi e un vascello svedese. Su quest'ultimo una ventina di facchini stavano issando sacchi di iuta contenenti fave, grano e botti di vino. Poco oltre, davanti all'ingresso di un magazzino in pietra, vidi sfilare una colonna di uomini con le catene alle caviglie. Chiesi chi fossero a un ragazzino seduto sulla banchina con una lenza in mano.
«Ergastolani!», rispose.
Ne contai una quarantina.
«Ne crepa uno al giorno ma tanto da San Pancrazio ne mandano sempre di nuovi!»
«San Pancrazio?», domandai cercando di modulare bene le parole, in modo tale che l'accento straniero non fosse così marcato.
Il ragazzino mi squadrò come se avesse di fronte una scimmia, tanto era sorpreso da quanto avevo detto.
«Sì, il carcere», rispose dopo un po'.
Rimasi a guardare la scena per qualche istante. I prigionieri caricavano il sale su un brigantino. Camminavano in fila indiana, come formiche.
[...]
Il borgo di fronte al porto aveva strade strette e animate. Subito dopo la porta del Molo mi imbattei in altri pescatori, ragazzini scalzi, donne indaffarate. Notai le stesse facce cotte dal sole che avevo lasciato a Nizza. Un solo dettaglio sembrava distinguere la gente del porto cagliaritano da quella francese: lo sguardo. Quello dei sardi era acuto e beffardo. Mi ripromisi di stare in guardia. Certe occhiate oblique dicevano e spiegavano più delle parole. E io non potevo lasciarmi sfuggire anche il più piccolo particolare.
Il quartiere mi piacque subito. Aveva molto di spagnolo, a cominciare dalle scritte mai rimosse sopra le porte d'ingresso dei fondachi e delle locande. Istintivamente avvertii che in quelle strade, dove sentivo lingue e dialetti per me nuovi, mi sarei mimetizzato in fretta.
Feci un giro di ricognizione e in meno di due ore individuai le porte erette lungo il perimetro del borgo. Collegati da mura alte e spesse, i bastioni erano presidiati da soldati, perlopiù mercenari svizzeri dall'aria annoiata. Di tanto in tanto si intravvedevano ampie feritoie dalle quali spuntavano bocche di cannone.
[...]
Nel primo pomeriggio raggiunsi l'abitazione del console Guys. Abitava nel piano rialzato di un vecchio edificio esposto al sole del Castello, il quartiere più importante e presidiato della città. La casa, con un ingresso basso e anonimo, si trovava poche centinaia di metri in linea d'aria dal palazzo del governo. Per raggiungerla superai una larga strada sterrata che faceva da confine tra le case della Marina e le imponenti mura del Castello. Lasciai sulla destra il bastione dello Sperone e, seguito da una coppia di cani randagi, m'incamminai sulla salita del Balice fino a un'ampia piazza. Case con i muri scrostati e le imposte chiuse si alternavano a eleganti palazzi. Sterco e nugoli di mosche erano visibili ovunque, ma i passanti sembravano non farci caso.
Un francese che era a bordo della mia nave mi aveva dato qualche ragguaglio sul conto del diplomatico. Guys era a Cagliari da molto tempo, ancora prima della caduta della monarchia in Francia. Aveva conservato l'incarico durante la rivoluzione e ora vantava amici potenti tra i repubblicani. In città si occupava di commerci e attività varie. Si diceva che fosse un uomo molto benestante.
Non feci anticamera.
[...]
Che cosa avrei dovuto fare in Sardegna per la causa francese lo capii soltanto alla fine del lungo discorso del console. Stavolta non mi sarei dovuto infiltrare in ambienti ostili, né carpire piani segreti di presunti nemici dello Stato. Semplicemente avrei dovuto occuparmi di quanti avessero in simpatia o parteggiassero apertamente per la Francia repubblicana. In particolare, avrei dovuto concentrare la mia attenzione su un uomo.
«Un giudice», precisò Guys.
Il suo nome era Giovanni Maria Angioy.
Pietro Picciau