Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

clASSICA La verve del trio Modigliani tra Beethoven e Shostakovic

Fonte: La Nuova Sardegna
22 aprile 2014


di Gabriele Balloi w

CAGLIARI Il Trio secondo Beethoven e Shostakovich. E gli stessi, Beethoven e Shostakovich, secondo il Trio Modigliani. Questo il programma di mercoledì scorso per la Stagione del Lirico. Con ospite, difatti, l’ensemble fondato nel 2005 da Mauro Loguercio (violino) e il duo Pepicelli, Francesco (violoncello) e Angelo (pianoforte). Due somme pagine in scaletta, di estrema bellezza ed elaborata fattura. Di Beethoven il «Geister Trio», (Trio degli Spettri, titolo che non diede l’autore) op.70 n.1, fra i risultati più alti della sua produzione cameristica. Già dall’attacco, l’esecuzione si mostra concitata, scattante, di arcate un po’ ruvide nei passaggi più celeri. Come nelle primissime introduttive battute, su cui irrompono in “fortissimo” quei progressivi frammenti di scala discendente, che, nell’insieme, paiono già una “cadenza” conclusiva, posta paradossalmente a inizio del brano. Mai abbastanza, forse, si sottolinea l’elemento dell’ironia in Beethoven. Mentre sui profili melodici, di carattere più cantabile e soave, gli archi tendono fin troppo a orbitare attorno a una dinamica fatta di “pianissimo” esageratamente diafani, Non complice, peraltro, anche l’acustica della grande sala che non consente loro d’emergere a sufficienza. E in questo oscillare fra ruvido ed etereo, il pianoforte ruba sovente la scena ai suoi comprimari. Il pianismo di Angelo Pepicelli è, in effetti, piuttosto asciutto, perentorio, pedalizza col contagocce e, talvolta, prediligendo al “legato” una sorta di “mezzostaccato” ottiene quasi sonorità da fortepiano, con un volume sonoro sovrastante i colleghi. A legare maggiormente, invece, violino e violoncello nel 2° movimento, sebbene scelgano qui, come pure accadrà in Shostakovich, di non rispettare appieno l’indicazione metronomica di «Largo», il che non li rende particolarmente apprezzabili sui tempi lenti. Nel «Presto» finale, poi, qualche défaillance intonativa e di concertazione, compensata tuttavia da una più congrua gestione della dinamica, dai luminosi accenti impressi al ritmo, da un piglio generale gustosamente ludico e galvanizzante. Più riuscita, in realtà, parrebbe la lettura del «Trio n.2 op.67» di Shostakovich. Convince il 1° tempo: l’«Andante» misterioso e tetro, il cui canone sembra quasi preconizzare la «Sinfonia dei canti di dolore» di Henryk Górecki, per clima e stratificazione analoghi; o nei sofisticati tortuosi sviluppi di tutto il «Moderato» successivo. Sia qua, sia nel trascinante «Allegro con brio» (2° tempo) vien fuori una cavata più incisiva e carismatica. Peccato per la scelta dell’andamento troppo rapido sul «Largo», che non esalta abbastanza il lirismo lacerante ed esistenziale delle curve melodiche memori dell’ultimo Mahler. Meglio l’«Allegretto» (4° tempo), reso in tutta la sua sarcastica e allucinata verve.