Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Il popolo delle rose e i «prepotenti» lavavetri

Fonte: L'Unione Sarda
15 aprile 2014


Battaglia silenziosa per conquistare un posto nelle zone più trafficate

Datemi un soldo, vi darò una rosa». O magari la custodia di un cellulare, un accendino, un improponibile magnetino da attaccare al frigorifero di casa. Souvenir di Norvegia, Spagna, Germania. Del mondo intero. Magari anche della Sardegna. E poi il miracolo degli ombrelli, i paracqua made in Cina che improvvisamente compaiono tra le mani dei venditori di strada (senegalesi, pakistani, uomini del Bangladesh) quando le prime gocce cadono dal cielo e il cielo, poco prima, o era un tappeto di stelle o una volta azzurra e assolata.
LO STUDENTE Via Riva di Ponente, nove di sera. Nessuna parola d'italiano, viso da bravo ragazzo. Studente del Bangladesh, 22 anni, da cinque mesi in città. Il suo traduttore simultaneo e il fratello maggiore che a Cagliari vive da cinque anni e vende custodie di telefonini in una bancarella del Poetto. Basta una telefonata, poi il venditore di rose rosse ti porge il suo cellulare per avere le risposte che cerchi. Quei fiori, quelle confezioni tutte uguali, arrivano da un florovivaista di Assemini (così assicurano in molti), problemi con i cagliaritani nessuno. Con l'altro popolo dei semafori? «A volte, ma mai fatti gravi». Battibecchi, insomma. Qualche parola di troppo se invadi una postazione già occupata. In piazza Yenne, il titolare del banchetto delle custodie per cellulare e dei magnetini ti spiazza quando ti rilascia la ricevuta. Se sei prevenuto, fatti da parte. Ricrediti. «Commerciante autorizzato», avverte, incorniciando le parole con un sorriso bianchissimo. «Siamo cinquecento, noi del Bangladesh, qui a Cagliari», racconta pensando a quel numero che forse sgomita con la realtà. Almeno a sentire altri connazionali, dovrebbero essere non più di trecento. Meno, molto meno dei senegalesi con cui dividono gli spazi dei semafori e ora, con l'arrivo dell'estate, faranno altrettanto sulle spiagge.
BUSTA PAGA Vijith ha 44 anni ed è dello Sri Lanka. «No, non lavoro ai semafori, mi occupo di pulizie domestiche, stiro, faccio anche il giardiniere. A Milano, parecchi anni fa, si guadagnava meglio, oggi la crisi, e le tasse, ti rendono la vita difficile. Devi mantenerti e conservare soldi da mandare alla tua famiglia». Già le tasse. Perché Vijith è uno dei cosiddetti fortunati che possono vantare una condizione di immigrato regolare anche se per sbarcare il lunario deve sobbarcarsi orari incredibili. «Anche dodici, quindici ore», assicura.
AMBULANTI Una mole di lavoro non diversa, alla fine, da chi ha scelto d'essere un venditore ambulante, un uomo del semaforo. Quel posto neppure molti anni fa occupato principalmente dalle donne Rom che non vendevano nulla ma chiedevano una mano, un euro. L'elemosina. O dai senegalesi che cominciavano ad offrire fazzoletti e accendini, cianfrusaglie inutili e oggetti tutto sommato indispensabili. «Ma no, lavora chi arriva prima, a volte ci dividiamo le corsie». Così non è raro, in città, incontrare il venditore di fazzoletti sul lato destro della carreggiata e il venditore di fiori (almeno quando cala la sera) dall'altra. Convivenza forse difficile ma pur sempre possibile. Non c'è, a Cagliari, a sentir loro, una regia, un “grande vecchio” che decide, impone. La strada è ancora terra libera. E se qualche botta a volte ci scappa, conseguenza di parole grosse, parole di troppo, è solo l'esasperazione della concorrenza. Anche se tra le genti dei semafori non sempre vice la simpatia, la solidarietà tra chi non nuova evidentemente nel benessere. Da viale Ciusa a viale Colombo, da via Bacaredda a via De Gioannis a via Dante e fino alle strade che portano fuori dalla città, dove si lavora per vivere (e per sopravvivere), vige un giudizio diffuso. «I prepotenti sono i lavavetri . Sono litigiosi». La pensano così in tanti, e qualcuno ammette di averci avuto a che fare malamente.
L'INGROSSO Rose rosse, rose gialle. «Le compriamo qui, spesso ad Assemini, poi le confezioniamo». Custodie per telefonini cellulari, souvenir vari. «Per acquistarli si va dai cinesi, nei loro grandi empori di Cagliari», racconta un giovane del Bang