Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Incontri Sovrintendente Ente Lirico di Cagliari Mauro Meli:«E da qui rinasceremo»

Fonte: L'Unione Sarda
14 aprile 2014


 

 Q uand'è tornato a Cagliari, undici anni dopo la prima volta, ha trovato il Parco della Musica finalmente realizzato, compreso un teatrino da 300 posti pagato trenta milioni di euro dalla Comunità europea e rimasto rigorosamente sprangato: da tre anni il Comune deve decidere quando collaudarlo. Un'operazione da niente ma nessuno la fa. Per questo raccontano sia andato in ginocchio dall'ingegnere capo del Municipio, manco fosse la Madonna di Lourdes. Risultato? Per il momento niente.
Mauro Meli, però, non si arrende. Per dicembre, quando si deciderà se rinnovargli il mandato di sovrintendente dell'Ente lirico, si dice sicuro di aver rimesso in piedi la baracca: bilancio di circa dodici milioni di euro e duecento dipendenti che, in pieno cartellone, arrivano a trecento. Insomma, l'azienda culturale più importante della Sardegna. In coda nazionale: è il tredicesimo dei quattordici enti lirici italiani.
Diploma del Conservatorio (chitarra classica), 59 anni, due figli, sposato a un'avvocatessa, docente all'università di Ferrara, Meli fa il pendolare fra Cagliari e la penisola. «Cerco di tornare in famiglia la domenica». Alle spalle ha un curriculum robusto: nel 2003 ha interrotto il primo mandato perché l'hanno reclutato alla Scala. «Ed è stato l'errore della mia vita». Perché? «Avrei dovuto completare il lavoro, forse sarei riuscito a fare dell'Ente lirico una tappa permanente della grande musica nel nostro Paese». Braccio destro di Riccardo Muti, a Milano ha fatto il direttore generale e il direttore artistico del più importante teatro italiano. Anzi, a voler essere precisi, per due-mesi-due ha ricoperto anche il ruolo di sovrintendente. Aveva davanti un grande futuro ma s'è trovato tra due fuochi di una guerra senza esclusioni di colpi. «L'unico mio rimpianto è aver detto sì quando mi hanno contattato».
Lasciando Cagliari, il maestro Meli s'è portato dietro un valigione di polemiche, invidie e vecchie antipatie. Dicevano che aveva peccato di vanità per aver portato in palcoscenico direttori e orchestre tra le più celebri. Conto salato, un buco spaventoso, così giuravano. «E sbagliavano, lo ha accertato la Corte dei Conti. Ho lasciato un deficit di quattro milioni dopo aver investito molte risorse per completare il teatro e assunto il personale che serviva».
Tutto questo lo racconta durante una visita pomeridiana a quella che ritiene la scatola magica dell'Ente: l'attrezzeria. È un immenso salone, con vetrata affacciata sulla strada, dove nasce quello che poi vediamo in scena. Sembra la bottega d'un misterioso Geppetto, capace di trasformare un pezzo di legno in un trono, uno scudo, una croce, un coltello».
Meli, del quale il sindaco avrebbe fatto volentieri a meno, dice d'avere «buoni rapporti formali» con Massimo Zedda, che è il presidente del Consiglio d'amministrazione. Abituato a sopravvivere in ben altri campi di battaglia, si concentra esclusivamente sul grande progetto: la resurrezione dell'Ente lirico. Un primo segnale di simpatia la città gliel'ha dato: il numero dei biglietti e degli abbonamenti è in crescita costante. «E questo, naturalmente, mi fa molto piacere. Ma, senza dimenticare per strada il pubblico dei fedelissimi, io ho un sogno ambizioso: aprire il teatro a giovani e giovanissimi. Vorrei che ogni sardo assistesse a uno dei nostri spettacoli almeno una volta l'anno». Per arrivare a questo obiettivo, serve una campagna-acquisti? «Certo, ma sarà una campagna-acquisti attenta alle dimensioni e al passo di questo teatro».
Un segnale di novità, giusto un assaggio, l'ha già dato affidando le scene di Turandot al poeta delle pietre sonore, Pinuccio Sciola. Su questa rotta intende andare avanti, al ritmo di piccoli e grandi colpi di scena. Che però non svela. A Parma, dove ha diretto il Regio, ha rafforzato una rete di conoscenze importanti. «I sovrintendenti non sono primedonne ma i direttori d'orchestra sì. E giustamente: vivono una tensione artistica e mediatica di lunghissimo respiro». A proposito, i rapporti con Riccardo Muti? «Amichevoli e cordiali anche se, dopo l'esperienza alla Scala, ognuno di noi opera per conto proprio».
Nel definirsi testardo e permaloso a scadenza rapida («in un'ora mi passa»), Meli evita di togliersi macigni dalla scarpa e, per l'occasione, si riscopre un tono diplomatico-cardinalizio. Neanche una parola sul coro delle critiche di ieri e men che meno sul sospetto che il ritorno a Cagliari sia un piatto da mangiare freddo. «Non nutro alcun sentimento di vendetta, non voglio e non devo regolare i conti con nessuno». Dei suoi predecessori si limita a dire che «non sono riusciti a mantere i livelli del passato» ma è altrettanto sicuro che lui invece rispetterà i tempi della maratona: un anno, da gennaio a dicembre 2014, per tornare «a essere quello che eravamo». Ha ereditato rovine? «Il termine è improprio. Diciamo che c'è molto da lavorare, ed è quello che mi piace fare». Nel frattempo non gli hanno ancora fatto firmare il contratto (duecentomila euro lordi l'anno, ne ha fatto risparmiare 45mila all'azienda): non tutti, insomma, sembrano farsi contagiare dalla febbre delle prove generali per la rinascita. A frenare il cammino delle cose c'è anche un'eccessiva sindacalizzazione? «Discorso del passato. Archiviato. Nelle organizzazioni di categoria e tra la gente di questo teatro, ho trovato un'adesione sorprendente, e soprattutto, convinta».
Giorgio Pisano