Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Al mercatino della Quaresima

Fonte: L'Unione Sarda
25 marzo 2014

 


   

Giorgio Pisano

Il mercatino della domenica di piazzale Trento inizia molto prima, continua nelle vie tutt'intorno e finisce molto dopo. «È il più grande della Sardegna, tipo Porta Portese a Roma», azzarda inorgoglito un venditore di mutande in offerta speciale. La divisione è netta: quelli che pagano gli spazi pubblici si chiamano espositori o, al massimo, ambulanti. Gli altri, che animano la vicina fiera della povertà, quaresima permanente, vengono definiti tappetari, extracomunitari o semplicemente disgraziati.
«A quanto la vuoi?», domanda una matrona a un ragazzo che presidia una coperta di cianfrusaglie. Si riferisce a una foto della vecchia Cagliari. «Signora, quella è antica. Cinque euro, meno non fa». La matrona lo guarda ed esplode in una risata: «Ma candu mai. Li vuoi due euro?» E tira dritto senza aspettare risposta.
Capitasse a Palazzo di domenica, il presidente della giunta regionale, onorevole professor Francesco Pigliaru, si ritroverebbe sotto le finestre un popolo in attesa. In attesa di riuscire a campare vendendo quello che ha rimediato: scarpe scalcagnate, prese elettriche degli anni settanta, cinque vasi di basilico, pannoloni per anziani incontinenti sottratti con destrezza a nonno (e alla Asl).
Accanto a quello ufficiale (duecento espositori, tremila visitatori in media) c'è un mercato parallelo che invade i marciapiedi nella speranza di attirare compratori. Occupano un metro quadro a testa per proporre seggiolini sgangherati, televisori che hanno gli anni della Rai, intimo sexy già collaudato da altri, dieci carciofi "freschi freschi" a due euro. Per conquistare il posto giusto accanto agli uffici dell'azienda dei pullman (Ctm), viale Trieste, i fratellini pachistani Arslan ed Eshan hanno sistemato il loro banchetto - paccottiglia varia - alle quattro del mattino; riposino in macchina fino alle otto ed eccoli pronti a lavorare. Hanno quindici e sedici anni, abitano a Quartu, frequentano la seconda media. Arslan, che è il maggiore, naso imponente e sorriso a quaranta bianchissimi denti, spiega con tono professionale che «da lunedì a sabato andiamo a scuola ma la domenica siamo liberi». E dunque possono dare una mano alla famiglia smerciando anelli, collanine e orecchini.
Poco più in là, all'angolo con via Battisti, davanti alla scritta "Non dar credito alle banche" che fronteggia come una sfida la Popolare di Sassari, c'è un ragazzino cagliaritano che dichiara diciott'anni ma forse non li ha. Vende quel che resta di vetero materiale elettrico e picconi arrugginiti. Fa il duro: «Occhéi, io le dico ma lei non scrive niente». Non vuole si sappia che è arrivato alle tre di notte, che assieme alla probabile fidanzatina ha due punti vendita e non uno soltanto come quasi tutti. Mani in tasca, aria sicura: «Cosa faccio? Non lo vede? Vendo». Niente nomi, ci mancherebbe. E quando gli fanno notare che sembra un campioncino d'omertà sardesca, sorride soddisfatto: «Proprio».
Poi inizia il mercatino "legale", quelli che pagano insomma. A proposito, quanto? Gianfranco Rachel, 68 anni, presidente dell'associazione no profit che gestisce-organizza-coordina, spara numeri confortanti: «Abbiamo aperto nel 1997, gli espositori versano una quota irrisoria che va da dieci a quindici euro, venti posti "a scopo sociale" ceduti gratuitamente, diciotto buste paga che oscillano tra i cento e i duecento euro, ambulanza a disposizione». L'area è in concessione dall'assessorato regionale all'Urbanistica che pretende 728 euro al mese. In più, incalza Rachel, ci sono da pagare «duecento euro al mese di commercialista, polizza d'assicurazione e centoventi euro per il pronto soccorso. Siamo una famiglia».
Una famiglia molto allargata se si pensa che «quelli che non possono davvero, non pagano» e che in questi giorni è in corso una colletta solidale per saldare i funerali di «Franco "Sa burrica", ambulante di Sant'Elia che, mischino, se n'è andato l'altro giorno e non c'aveva manco occhi po prangi». E il Comune? «Il Comune non c'entra».
Verissimo. Tant'è che il consigliere Paolo Casu (ex sardista passato a Sel) ha rivolto un'interrogazione per chiedere che il Municipio «rilevi l'area e gestisca il mercatino». Dietro, dev'esserci polemica, qualche veleno, guerre sotterranee. Delle quali però, agli abusivi che circondano il piazzale, interessa poco, anzi nulla. Nei portici di quello che una volta era il Caffè dei regionali, il leggendario bar Marius, rifugio di assentesiti cronici allergici al lavoro, staziona un vecchio napoletano che vende cuscini. «Dieci euro l'uno anziché ventinove e novanta, un regalo». Li ha impilati poggiandoli a un pilastro e li propone agli occhi di chi passa, al volo. Racconta d'avere 68 anni (ne ha molti di più), di abitare ad Assemini, d'avere una moglie «che però e tornata a Napoli, e figli, tutti sposati e lontano da qui». Dice di prendere una pensione d'invalidità (trecento euro al mese) e «francamente, parliamoci chiaro, non mi lamento». Allora perché sta lì a vendere? «Per passarci il tempo, la giornata non finisce mai». Si permette, visto che c'è, di indicare «due amici, loro sì, bisognosi»: sono Giuliano, disoccupato di 40 anni e la moglie. Vivono con due figli a Capoterra sotto sfratto esecutivo. Vendono arance e, nel tappeto a fianco, quella che lui chiama - allargandosi un po'- oggettistica.
Duecento metri più avanti, proprio accanto alla cancellata della villa abitata dall'imprenditore Giorgio Mazzella, un vecchio sessantottino punta sul vario: da una parte offre scarpe usate e abitini, dall'altra posate, saliere e via apparecchiando. Per occupare la postazione arriva ogni sabato notte alle due e mezzo. Sorvola rapido sui due negozi, una cartoleria e una merceria, che gestiva fino a dieci anni fa in piazza Giovanni. Chiuse per crisi. «Perché son qui? Mia figlia sta facendo l'Erasmus in Francia. Ho il dovere di aiutarla. Si chiama diritto allo studio, no? Mi sforzo di metterlo in pratica».