Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Zingaretti porta in scena l’uomo e il potere

Fonte: La Nuova Sardegna
3 marzo 2014


 
Successo per “La torre d’avorio” di Ronald Harwood al Massimo di Cagliari, l’attore regista e protagonista 
 

 
 

di Roberta Sanna

CAGLIARI L’artista e l’essere umano, la dittatura e il potere. E le zone grigie che segnano valori e principi, reazioni e relazioni umane, nell’intreccio delle dicotomie. C’è un’occasione di riflessione profonda e stratificata ne “La torre d’avorio”, lo spettacolo in scena sino a domenica al Massimo di Cagliari dopo il debutto sassarese per il circuito Cedac con Luca Zingaretti e Massimo De Francovich, cui va il merito di aver riportato a teatro e magnificamente interpretato la pièce di Ronald Harwood (autore del celebre “Servo di scena”) conosciuta ai più nella versione di István Szabó del film “A torto o a ragione”. Molte le sfumature, le ambiguità, il perturbante del tema posto in forma dialogica dall’autore e rafforzato dalla concretezza di una realtà storica di portata mondiale. In una Berlino dell’immediato dopoguerra, in contemporanea con il processo di Norimberga, la pièce ci guida nel corso delle indagini di un maggiore dell’esercito americano (Steve Arnold /Zingaretti) impegnato nel processo di denazistificazione, con ancora gli incubi per gli orrori visti, e nel naso, persistente, l’odore della carne bruciata dei campi di sterminio. Di fronte, le ragioni dell’indagato, il grande direttore d’orchestra Wilhelm Furtwängler (De Francovich), convinto di poter salvaguardare, anche dentro una dittatura sanguinaria – tenendo alti i valori artistici in una imperturbabile torre d’avorio – anche quelli della bellezza e della giustizia. Ad impedire un didascalico e vano raffronto di torto e ragione c’è il sovrapporsi di zone grigie, della coscienza, della cultura, della propria visione del mondo e di sé. E delle quotidiane deviazioni cui l’uomo è disposto per preservarle. Scelte di vita che passano attraverso la contrattazione continua, fatta di scivolamenti e resistenze, tra valori considerati irrinunciabili, le pressioni del Potere e i comportamenti dell’individuo. Se poi al potere è una dittatura, le ambiguità si moltiplicano. Per il maggiore Arnold, il cui disinteresse per la cultura è affermato persino con volgarità, l’equazione è semplice: l’arte espressa da Furtwängler, l’aver pure salvato numerosi ebrei grazie alla sua posizione, non può contare nulla difronte al suo silenzio per lo sterminio di milioni di esseri umani. Per il grande direttore invece, essere rimasto nel suo Paese a preservare la qualità musicale anche sotto le insegne naziste dei teatri (e godendo di privilegi), è condizione sufficiente per sentirsi assolto. Anche se, incalzato dalle compromissioni evidenziate da Arnold, ammette «sarebbe stato meglio che fossi andato via nel 1934». Furtwängler fu poi assolto, anche se l’ombra dei sospetti rimase. Ma il testo di Harwood si ferma prima, chiudendo, mentre il maggiore mette definitivamente a tacere il fonografo che più volte ha fatto entrare la musica nella squallida sala, con un parallelo inquietante. Se nell’indagine di Arnold viene rilevato l’uso strategico della stampa come elemento di pressione sul direttore, un inciso del maggiore americano ci rivela che la stessa condotta è d’uso anche in democrazia, ovvero se il Potere si ritiene dalla parte giusta… Applausi sinceri coronano la prova degli eccellenti protagonisti e di Paolo Briguglia, Gianluigi Fogacci, Francesca Ciocchetti e Caterina Gramaglia.