Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Viaggio lungo le rive del Cixerri, 40 chilometri di fiume sporco

Fonte: L'Unione Sarda
17 febbraio 2014

- Parte da Iglesias per arrivare (forse) nei rubinetti del capoluogo

 

Marco Noce
INVIATO
MUSEI Ora lento ora impetuoso, ora mormorante ora fragoroso; bello e nobile, sporco e inquinato; sui suoi argini corrono ciclisti e podisti e si passeggia a cavallo, sulle sue sponde si raccolgono cardi, crescione e sedani selvatici ma nelle sue acque finisce anche ciò che i depuratori di Iglesias, Domusnovas, Villamassargia e Siliqua dovrebbero eliminare: è il Cixerri, fiume dimenticato che ha scritto e scrive storia e geografia di una fetta importante di Sardegna. La sua acqua (dice Abbanoa) da un paio di giorni sgorga dai rubinetti di Cagliari, Quartu, Quartucciu, Elmas, Selargius, Monserrato e Maracalagonis.
La via d'acqua scorre per 40 chilometri da Iglesias a Cagliari in un corridoio naturale fra due pareti di monti (a destra quelli del Sulcis e l'Arcosu, a sinistra il massiccio del Marganai). Lungo il suo corso sono sorti i centri abitati ancora esistenti e quelli scomparsi da secoli (come il villaggio di Seruis, attorno all'omonima chiesetta di cui resta un muro e un cumulo pietre e cocci), sul suo tracciato sono state ricalcate strade (la Pedemontana e la 130) e ferrovia, che lo seguono fedelmente. Un tempo ci navigavano i battelli su cui i pisani trasportavano i metalli dell'Iglesiente fino a Cagliari.
LE SORGENTI Nasce sul monte Croccoriga, modesta collina di fronte alla frazione di Barega, tre chilometri a sud della zona industriale di Iglesias. Diventa grande una quindicina di chilometri più avanti, a Musei, dove riceve le acque del rio S'Arriali, alimentate dal lago di Punta Gennarta. Nel frattempo, però, ha già fatto i conti col depuratore di Iglesias, che smaltisce i reflui della città ma anche - per effetto di una progettazione sorprendente - quelli dell'impianto di Villamassargia-Musei. «Questo da tre-quattro anni, perché fino ad allora, per vent'anni, Iglesias non ha avuto un depuratore e il fiume arrivava da noi trasformato in una cloaca», ricorda Franco Porcu, sindaco di Villamassargia.
FANGO Ora va meglio, ma non ancora bene. Le acque sono limacciose, verdastre. A Musei, dove la bonifica ha creato un fitto reticolo di canali che si diramano dal letto principale o lo seguono in parallelo per tentare di mitigare i danni delle alluvioni, ieri si sentivano odori tutt'altro che gradevoli. La terra, attorno, è zuppa: fango picchiettato da milioni di orme di zoccoli di pecore.
Non sono gli unici animali che proliferano lungo il fiume. Da anni, altra battaglia di Porcu, ci sono anche le colonie di nutrie: «Ci sono pastori che segnalano aggressioni al bestiame», rivela preoccupato. A Siliqua il fiume entra nel centro abitato, anche se il grosso della portata viene dirottato in un canale che passa alla larga dalle case. Ma non basta: in caso di piena le zone del paese più vicine al letto fluviale finiscono sommerse. Sul ponticello di San Giuseppe, ieri così piacevole da visitare, due mesi fa un Mitsubishi Pajero è stato spazzato via ed è finito in acqua. Il fiume, quando vuole, può far male. Come quando, dieci anni fa, inghiottì, poco a monte, due undicenni: erano andati con gli amici a fare il bagno in un tratto apparentemente tranquillo. Una lapide li ricorda sull'argine.
L'INVASO Un'altra lapide si trova un paio di chilometri a valle, dove il fiume incontra l'ostacolo che divide in due la sua storia: la maestosa diga di Genna Abis, un muro lungo 1.300 metri e alto fino a 26 che trattiene milioni di metri cubi d'acqua. Il bacino artificiale, nato tra il 1980 e il '92, è enorme (5.000 chilometri quadrati) e immerso in un paesaggio mozzafiato con il Monte Arcosu a fare da sfondo. Sommersa anche una strada romana: d'estate, quando il livello cala, si riesce a percorrerne una cinquantina di metri. Acqua marroncina, sulla riva sassosa, un bordo di schiuma bianco-nocciola. Anni fa venne rilevata la presenza di metalli pesanti. Qui, vicino al recinto che chiude la pineta piantata in area demaniale, fu uccisa Irene Sanna, ex infermiera: la ricorda un'umile croce.
Passare sotto la diga è un'esperienza che non si dimentica. Delle cinque chiuse, ciascuna pilotata da due pistoni possenti, le tre centrali lasciano cadere con un salto di una dozzina di metri (il rombo, da vicino, è assordante) l'acqua di quel che resta del fiume, che andrà a sfociare nello stagno di Cagliari, in territorio di Assemini. Il grosso della risorsa idrica, invece, finisce in un grosso tubo azzurro che punta dritto verso Assemini e da lì nel complesso sistema dell'Esaf, ramificato per tutta l'isola, tra condotte, canali scoperti e stazioni di sollevamento, in grado, in caso di siccità, di trasferire acqua dove serve.