Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Allestimenti faraonici e polemiche Dopo la guerra, il grande ritorno

Fonte: L'Unione Sarda
28 gennaio 2014

 

Super curriculum, modi spicci, di sinistra ma piace alla destra

 

A volte ritorna. Mauro Meli va in replica. Negli otto anni da soprintendente a Cagliari (1996-2003) ha lasciato macerie fumanti di livore ma anche il ricordo grato di tanti amanti della musica. Sotto la sua direzione ci sono stati memorabili concerti di Carlos Kleiber, della New York Philarmonic Orchestra, Riccardo Muti. Paolo Isotta, autorevolissimo e velenosissimo recensore del Corriere della Sera, aveva scritto che con lui cominciava un nuovo rinascimento. Rinascimento che una città come Cagliari, angolo morto d'Europa, non poteva neppure immaginare.
Ufficialmente Meli ha lasciato perché lo chiamavano alla Scala di Milano (dove ha fatto il soprintendente per settanta giorni), ufficiosamente perché la guerra con sindacati e istituzioni era diventata insopportabile. Troppi ne chiedevano la testa: dal consigliere regionale di An che parlava di «gestione allegra» al pietrificato sindaco Emilio Floris che colpiva senza sbracciarsi (ma faceva centro). Nella carica dei centouno c'era perfino un giornalista, Gianni Massa, che durante una trasmissione televisiva aveva esibito carte inquietanti per dimostrare che con Meli i costi erano lievitati oltre la decenza. La Finanza le aveva sequestrate il giorno dopo. Dunque il terremoto sembrava in arrivo.
E invece no. È finita in gloria. Mauro Meli ne è uscito a testa alta senza rinnegare bilancio, spese, ambizioni e un deficit di cinque milioni di euro. Per difendersi, a suo tempo disse che quello della Scala era un buco sei volte più grande, come se La Scala e il Teatro lirico di Cagliari avessero qualcosa in comune.
Non gliel'hanno perdonata. Lungo strada - in Sardegna come in Lombardia - ha sempre incrociato qualcuno che lo avrebbe messo volentieri alla porta. A Milano riuscì a rendere famoso un magistrato (Renato Caccamo) che a giorni alterni gli sparava contro per dimostrare una debolezza di caratura professionale per ricoprire la carica di soprintendente e conti al limite della legge. A distanza di tempo la replica fu gelida e spietata: «Dev'esserci qualcosa che non torna se Caccamo, magistrato, non è riuscito a trascinarmi in Tribunale. Quanto al curriculum, il mio può confrontarlo serenamente con quelli dei direttori dei più grandi dei teatri del mondo».
Aveva ragione: e il fatto che Cagliari torni a lui dopo tanti anni e una valanga di maldicenze vorrà pur dire qualcosa. Meli ha un difetto grave, mai addolcito e mai rinnegato: non ama la diplomazia. Dichiaratamente di sinistra (con un babbo notabile democristiano e un fratello che fa l'ad all'Unità), non ha esitato a scontrarsi coi sindacati. «Riconosco il ruolo e il peso della storia sindacale ma all'interno sopravvivono inaccettabili corporativismi». È stato ricambiato con affetto: un documento che ne chiedeva il licenziamento immediato. Subito, senza se e senza ma.
Non ha fatto una piega. A proteggerlo, se sono fondate le confessioni dei suoi amici, è lo scudo di un'autostima cresciuta all'ombra di Claudio Abbado prima e Riccardo Muti poi. Nella stagione cagliaritana ha pesato sicuramente la voglia di fare un grande salto, uscire dalla logica dei cartelloni di provincia. Osare, insomma. Anche se tutto questo ha fatto venire la depressione ai contabili. E lui? Ha sempre dichiarato di fare molta attenzione al denaro dei contribuenti. Il suo stipendio era di 273 mila euro lordi (compresi oneri previdenziali e rimborsi-viaggio). Quanto a Kleiber, i due concerti sono costati 400 milioni di lire l'uno. Troppo? «È il prezzo di mercato», aveva replicato senza scordarsi di far notare la fatica d'aver convinto un genio come quello a metter piede in Sardegna. Rivolto poi a consiglieri regionali e deputati che sventagliavano interrogazioni sul suo regno, s'era infine preoccupato di puntualizzare che la contabilità del Teatro lirico aveva superato serenamente gli esami: «Hanno spulciato uno per uno trentacinquemila mandati bancari dal 1996 a oggi e hanno trovato un solo errore formale».
Tutto questo non ha fermato la pioggia di esposti, sempre anonimi. La Procura della Repubblica aveva anche aperto un'inchiesta (malversazione ai danni dello Stato) di cui si sono perse le tracce. Nel frattempo Meli ha proseguito la sua carriera: dopo Milano, il Regio di Parma, il Festival Verdi e quello di Ravello.
Ma adesso ritorna sul luogo del primissimo delitto. Perché? «Tornare a Cagliari? Mai dire mai. È la città dove sono nato, ho nostalgia del suo teatro e del suo pubblico». Parole del 2005, ognuno le legga come crede.
Giorgio Pisano