Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

«Teatro o cinema L’importante è essere sinceri»

Fonte: La Nuova Sardegna
21 gennaio 2014


 
Pierfrancesco Favino da domani nell’isola Interprete al Massimo di “Servo per due” 
 
l’intervista 
 
 
 
 
 

di Roberta Sanna wCAGLIARI Al ministro Bray chiederebbe di introdurre il cinema e il teatro nelle scuole elementari come strumento di comprensione della narrazione: «È uno strumento di crescita e di formazione necessario. In cambio sarei disposto ad andarci, nelle scuole». Pierfrancesco Favino risponde al telefono mentre attraversa le colline del Mugello, in tournée con “Servo per due”, che da domani porterà in Sardegna per il Cedac al teatro Massimo. Interprete apprezzato al cinema, teatro e in tv – a breve lo vedremo nella nuova fiction Rai in due puntate su Giorgio Ambrosoli – è amato dal pubblico e pluripremiato. Un premio rifiutò di ritirarlo contro i tagli al Fondo unico per lo spettacolo. «Mi ero permesso di dire che avrei aspettato che i tagli al Fus fossero ritirati. Non è stato fatto e non ho ritirato il premio». È attento ai temi culturali e sociali. Uno dei contenuti del suo sito si chiama “Etica”. Concetto che nella vita artistica «significa avere cose in cui si crede e poterle condividere attraverso il proprio lavoro. E poi c’è l’onestà verso il pubblico». Nel 2012 era nelle sale con quattro film, nel 2013 ha rallentato. «Un periodo di respiro rispetto ad una presenza a rischio di saturazione». Mettendo a segno però le partecipazioni hollywoodiane (“Rush” di Ron Howard, “World War Z”di Marc Forster), e il lungo impegno teatrale. «I progetti internazionali sono stati un arricchimento e ora tornare a teatro, anche da coregista, è una sfida bellissima che a questo punto posso dire vinta, anche se per niente facile. E’ stato un modo anche per rimettere in gioco tutto quello che posso aver fatto sino adesso e metterlo a disposizione di una causa in cui credo». Ovvero fare teatro in modo diverso, portare la gente in sala «riempiendo anche il palcoscenico». Di attori, di invenzioni, di ricchezza. «Quando lo spettatore si trova davanti il palcoscenico pieno, penso abbia anche la sensazione di avere speso bene il suo danaro». La messinscena di “Servo per due” con il Gruppo Danny Rose lo ha impegnato per più di otto mesi, tra laboratori preliminari e prove dei due cast di tredici elementi che si alternano nelle repliche. Un lusso, una rarità nel panorama italiano. «In termini canonici non avremmo potuto permettercelo. Il lusso ce lo siamo presi personalmente perché degli otto mesi solo tre sono stati pagati. Tutti siamo pagati allo stesso modo, e non con cifre faraoniche, per permetterci di essere tanti in scena. C’è stato un investimento ideale da parte di tutti, per sperimentarsi nei laboratori, capire i propri limiti. Ci stiamo costituendo come gruppo, c’è bisogno di una grammatica condivisa, che ha bisogno di tempo, di pazienza». Di lei si apprezzano le immedesimazioni da Actor’s studio. E per quattro anni ha lavorato con Luca Ronconi. Esiste un metodo Favino? «No, se non il desiderio e la fiducia nel lavoro. Non credo esista un solo metodo, ognuno è reattivo a certe cose piuttosto che ad altre.

Nel tempo si capisce come reagisce il proprio immaginario. Esistono soprattutto tante esperienze di lavoro e di studio che sono le frecce che hai a disposizione nel momento in cui affronti l’interpretazione. Ho avuto la fortuna di lavorare in compagnia con uno dei più grandi geni teatrali. Ancora oggi, in qualsiasi mio passo non solo penso a quello che ho avuto l’opportunità di vivere con Ronconi, ma mi piacerebbe potergli chiedere consiglio». In vent’anni di cinema e fiction è stato interprete del racconto di oltre 40 anni di storia e costume italiani… che sintesi viene fuori? «Sono stato chiamato a interpretare grandi personaggi, ho avuto la fortuna di poter scegliere, però sta al pubblico unire i puntini. Penso che un bravo attore sia tale quando lascia al pubblico lo spazio di fare il proprio viaggio all’interno di quello che vede. Ma credo che se i registi ti propongono un film vuol dire che anche involontariamente dai un’idea di te, un’immagine che può essere aderente a un certo tipo di storie. Sono orgogliosissimo di aver potuto fare parti come quella di Pinelli e ora di Ambrosoli. Evidentemente si capisce che sono tematiche che mi interessano molto». La nomination a “La grande bellezza” per gli Oscar? «Ne sono felicissimo, mi inorgoglisce, io non ero assolutamente fra i detrattori, anzi. Fa bene a chi ha fatto il film, al cinema italiano, e fa bene a tutti».