Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Storia di Agata e Fedora, le sante di un'altra Italia

Fonte: L'Unione Sarda
18 ottobre 2013

Lo spettacolo fa parte di un progetto del Crogiuolo dedicato alle donne

 

Pirri, Alessandra Bedino stasera in scena alla Vetreria


 

«Iniziai a ideare questo spettacolo con il pretesto di partecipare a un bando di scrittura di scena per la ricorrenza dell'Unità di Italia. Allora preparai un corto teatrale di un quarto d'ora, in pratica una sintesi di ciò che avevo in testa: mettere assieme la celebrazione con qualcosa di insolito, di ironico che ho sviluppato meglio in seguito». L'attrice, regista e drammaturga toscana Alessandra Bedino illustra così la genesi del suo “Sante d'Italia”, in cui è in scena con Sandra Garuglieri, per la regia Simona Arrighi. La pièce, con i costumi di Toni Musa e le musiche di Matteo Fantoni, inaugura oggi, alle 21 alla Vetreria di Pirri, la parte teatrale del progetto “La Rosa bianca. Un altro genere di storie”, che Il crogiuolo ha voluto dedicare alla riflessione sul femminicidio e sulla donna in generale. Il testo, vincitore del secondo premio del concorso di scrittura teatrale Donne e teatro 2011 e pubblicato nel volume della casa editrice Borgia, parla di donne, di amicizia, di libertà. Temi cari all'artista. Ma in questo caso racconta - tramite le protagoniste Agata e Fedora - anche l'identità nazionale.
Chi sono le due donne comuni ma al contempo eccentriche del suo lavoro teatrale?
«Due amiche di vecchia data emigrate in Belgio nel dopoguerra. Una proviene dal Veneto, una regione che diede un contributo incredibile alla emigrazione italiana nel nord Europa, e l'altra dalla Sicilia. Sono gli opposti di Italia. Hanno mantenuto le proprie caratteristiche e il dialetto ma vivono un'amicizia tale da potersi dire in faccia ciò che gli italiani generalmente non si dicono. E hanno il sogno di tornare nel loro Paese in un viaggio da donne libere per conoscere tutto sulla vita delle sante».
Amicizia e libertà, ma anche conflitto e solitudine?
«Sono donne non più giovanissime, i figli sono grandi e i mariti non ci sono più o non ci sono mai stati. Inoltre avvertono la solitudine di abitare una terra lontana da quella natia».
Come si finisce a parlare di identità nazionale?
«Sono molto legate e molto italiane. Il gioco è quello di far parlare dell'Italia da un punto di vista diverso in difetti e pregi, che emergono attraverso il battibecco».
In quante Agata e quante Fedora ci imbattiamo oggi?
«Ne conosco molte. Rappresentano la classica vicina di casa, con limiti e sprazzi di follia nascoste nelle pieghe del quotidiano più banale».
Guardando allo scenario contemporaneo di cos'altro vorrebbe scrivere?
«Ci sono temi urgenti e molto forti come la tragedia di Lampedusa, con quel dramma di persone che partono verso il nulla. Una situazione molto adatta al teatro, però con il rischio della retorica o di troppa drammaticità. Mi piacciono le situazioni che raccontano la contemporaneità facendo intuire altro, il presente e qualcosa di più universale. Non credo molto nella parola del quotidiano e preferisco sconfinare nel metafisico».
Manuela Vacca
@ManuelaVacca