Rassegna Stampa

Sardegna Quotidiano

Quichotte cavaliere senza tempo

Fonte: Sardegna Quotidiano
18 aprile 2012

AL LIRICO

 

Don Chisciotte come Boris Godunov? Se trovare analogie e segreti rimandi tra queste due figure così distanti tra loro può apparire una scommessa difficile da vincere persino per il più scafato degli ermeneuti della letteratura, non così è per un basso lirico nato in Bulgaria a metà degli anni Settanta e cresciuto nel mito di Fedor Chaliapin e Boris Christoff. Perché nel teatro musicale l’hidalgo e lo zar assetato di potere che muore macerandosi nel rimorso per un infanticidio assumono entrambi la veste di paladini del dubbio, personaggi di statura epica che dominano la scena e colpiscono l’emotività degli spettatori. E per il pathos e la catarsi dopo la sofferenza e la follia «sul palcoscenico si piange davvero», assicura Orlin Anastassov. Trentasei anni, bulgaro di Rousse, figlio d’arte («I miei genitori erano entrambi cantanti. Da bimbo li seguivo dietro le quinte e restavo incantato dalla bellezza delle voci e della musica», racconta), è considerato uno dei migliori bassi della scena lirica internazionale. Per la seconda volta in carriera affronta da protagonista il Don Quichotte di Jules Massenet, l’ultima opera del compositore francese mai rappresentata in Sardegna che venerdì alle 20.30 inaugura la stagione operistica e di balletto del Teatro Lirico di Cagliari (la regia è firmata da Federico Tiezzi).

Un ruolo pensato per Chaliapin che ne cantò la “prima” nel 1910. Il successo fu tale che ventitré anni più tardi Pabst volle il basso russo come attore principale nel suo film Don Quixote. Quel Chaliapin che fu un insuperato Boris Godunov, un aspetto che sicuramente non sfuggì a Massenet quando si accinse a mettere in musica le vicende del visionario cavaliere dalla triste figura. «Sono due fra i ruoli più affascinanti nati per la voce di basso», dice Anastassov che li ha impersonati entrambi. «Boris è un personaggio dalle infinite sfaccettature, non basta una vita per comprenderlo fino in fondo e darne una completa visione interpretativa », spiega facendo propria un’osservazione del suo connazionale Boris Christoff.

OGNI RECITA È UNA PROVA «Alla fine di ogni recita si sta male fisicamente e psicologicamente. Non scherzo, alcuni colleghi sono rimasti talmente provati da finire in ospedale o in cura da uno psicologo ». Il personaggio di Don Quichotte richiede uno sforzo minore ma lascia all'interprete un ampio ventaglio di possibilità di lettura: «È meno complesso di Boris, segue dall’inizio alla fine dell’opera una linea coerente nello sviluppo psicologico, ma può essere interpretato in cento modi diversi». Il libretto di Henri Cain si ispira più alla riduzione teatrale novecentesca di Jacques Le Lorrain che al romanzo barocco di Cervantes: del capolavoro spagnolo vengono sottolineati gli aspetti legati al tema della disillusione e dello scacco sublimati nella maturazione spirituale. E in ossequio alle regole del melodramma acquista un rilievo forte il personaggio di Dulcinea, «donna sensuale e leggera che nella vicinanza dell’hidalgo compie un’evoluzio - ne e muta atteggiamento.

Al mio Don Quichotte, matto e fuori dalla realtà, voglio dare trasparenza e sincerità. Ogni singola parola è importante, il canto deve essere solo uno strumento per esprimere i moti dell’animo. E ci sono momenti che in scena, mentre cantiamo, la commozione ci prende fino alle lacrime. Crediamo che il pubblico se ne accorga e resti colpito». Magia dell’opera. Quel teatro musicale che la politica e qualche maître à penser al seguito vorrebbero cancellare con un colpo di spugna perché “inattua - le”. Se si può considerare una pur magra consolazione, per Anastassov non si tratta di un fenomeno esclusivamente italiano: «Purtroppo è una tendenza diffusa in tutto il mondo. Quando c’è da tagliare nel campo della cultura l’opera lirica è il primo settore ad essere interessato dalla strategia del risparmio, a dispetto dell’interesse e della passione del pubblico, che non è mai venuto meno, soprattutto in Italia». Dove la figura del cantante lirico gode ancora di un certo prestigio: «Quando entro in un bar la diffidenza verso il mio essere straniero si scioglie non appena si scopre che faccio il cantante d’opera. Il teatro musicale è e resterà sempre nel Dna degli italiani». Bruno Ghiglieri