Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Cagliari, fuori l'orgoglio

Fonte: L'Unione Sarda
10 aprile 2012

AMORE E RABBIA. Serve riscoprire fierezza e senso d'appartenenza

Lo stadio, via Roma, l'Anfiteatro: metafore amare

di Paolo Fadda*
Ma la “cagliaritanità”", cioè quel forte sentimento d'appartenenza ai valori identitari di una città nobile e fiera, è veramente desaparecida? Fatta fuori, cioè, dalla rumorosa invasione di plotoni di majolus che l'hanno ridotta ad un semplice ed anonimo dormitorio? Vanificata soprattutto da una classe dirigente senza qualità, ritenuta nient'altro che l'orpello d'una vanità fuori tempo e luogo?
I DUBBI Sono domande che sono diventate attuali dopo i preoccupanti silenzi che sono seguiti ai due editoriali di denuncia che Massimo Crivelli ha inteso dedicare alla crisi della città capitale dell'Isola. E sono domande che impongono una risposta, che richiedono una riflessione, una valutazione: su come in questi tempi si sia, o sia stata ridotta Cagliari.
TRISTE DECLINO C'è molta amarezza nel constatare questo triste declino, tanto da dover constatare, amaramente appunto, che le responsabilità sono, prima di tutto, di noi cagliaritani. Perché la città va amata e ad essa va riservata ogni attenzione; perché essa è da sempre specchio ed immagine della gente che l'abita e che la vive: sosteneva a proposito Vittorini che c'è gente bella nelle belle città, così come le brutte città determinano la bruttezza di chi le abita. E Cagliari oggi, per dirla con Michelangelo Pira, appare purtroppo brutta.
Per questo, per quel che di brutto s'ha davanti agli occhi, viene da chiedersi se quella perdita di valore della cagliaritanità non sia figlia d'un impoverimento (in cultura e in attenzioni civiche) delle sue classi dirigenti, cioè delle sue élite sociali.
TERRENO DIFFICILE Ci si rende conto che non è un discorso facile, dato che investe molta contemporaneità e che, inevitabilmente, potrà toccare anche suscettibilità e sensibilità diverse. Ma è chiaro che, ragionando in senso generale, si avverte chiaramente il sopravanzare del particolare sul generale. Cioè, ancor più chiaramente, che gli interessi individuali o di casta fanno ormai premio su quelli della collettività, in quanto le attuali èlite urbane paiono avere perduto, per via d'una caduta verticale delle proprie “culture”, la nozione delle proprie responsabilità sociali.
PENSARE AL PROGRESSO Parrebbe diminuita, se non addirittura scomparsa, un'acculturazione civica, cioè la capacità di pensare al progresso della città come strumento necessario per far crescere e migliorare il welfare generale dei suoi abitanti. Per parafrasare un concetto caro ai sociologi del Censis, si potrebbe ritenere che il ceto dirigente cittadino si sia fatto majolo , così intendendo che, smarrite o dimenticate le eccellenze e le conquiste urbane, abbiano privilegiato i disvalori d'una cultura paesana e passatista.
I MODELLI Radicalizzando quest'ipotesi, si potrebbe affermare che se le élite del passato avevano preso come modello per il futuro della “loro” Cagliari, città come Genova o Trieste, quelle attuali sembrerebbero ispirarsi a modelli molto più nostrani, come Silì o Gergei senza voler offendere nessuno, naturalmente. In quanto anche in urbanistica ed in architettura sembrerebbe affermarsi quel che s'è chiamato majolismo , cioè quell'esuberante e persistente impronta paesana che portavano con sé quei giovani majolus, poetati dal Canelles, chi de bidda 'n benint in cerca di istruzione e di fortuna, e che, nonostante il soggiorno cittadino ed ogni promozione sociale ( faiddus deputaus, mancai de prusu ), il risultato sarà che de maiolus non 'ddi bessint mai .
GENOVA E MARSIGLIA Perché, se in tempi passati la cultura cittadina (quella che ossigenava la cagliaritanità più vera) rifletteva modelli genovesi o marsigliesi, cioè europei, oggi sono emerse, per indifferenza o per convenienza, le reminiscenze degli archetipi rurali de sa pinnetta o de is brebeis .
I segni di questa contaminazione risulteranno poi visibili in diversi e differenti aspetti della vita cittadina. E soprattutto in quella che ci piace chiamare la “cultura della città”. Purtroppo, dalle nostre parti la cultura non avrebbe mai cercato di farsi “urbana”, anche se talvolta ne avrebbe indossato l'immagine esteriore. Proprio perché sarebbe rimasto in tutti (amministratori pubblici, politici, architetti, intellettuali e costruttori) quel disvalore che, parafrasando l'urbanista Bernardo Secchi, chiameremo “della ruralità”. Proprio perché l'archetipo abitativo prevalente in gran parte dei sardi rimarrà sempre il villaggio.
IL SEGNO DEL VUOTO Anche per questo, la sensazione prevalente è che si sia di fronte ad una città pericolosamente segnata dal vuoto, da quel che i padri latini chiamavano il nihil , visto che ad un ciclo passato pieno di idee, di proponimenti e di progetti per il progresso, si è sostituito nel presente un ciclo segnato da contrasti, dispetti e contrapposizioni proiettati verso il nulla. Tuvixeddu, lo stadio, la via Roma, l'anfiteatro paiono, tra le tante, significative metafore di questo preoccupante nullismo.
PECCATO GRAVE Da qui, quel profondo senso di disappunto e di rammarico che oggi si prova assistendo al declino della città amata. Per questo, l'avere smarrito od abbandonato quel senso alto della cagliaritanità, pare peccato grave, da cui in tanti dovremmo ravvederci. Al più presto. Ritrovando fonti e valori per una cultura urbana che guardi alto e lontano, ben al di là dei fastidiosi litigi da cortile del palazzo Bacaredda.
PASSAGGIO DECISIVO Questo perché Cagliari si trova oggi di fronte ad un passaggio importante, ancor più decisivo di quello affrontato proprio dal sindaco Bacaredda a fine 800. S'avverte l'urgenza di dover dare alla città, alla sua forma ed ai suoi contenuti (urbanistici, sociali, economici e culturali) una revisione integrale, promuovendone un renewal virtuoso che la proietti nuovamente verso il progresso.
Si dovrebbero mettere in campo volontà ed idee nuove, reclutando e premiando quei valori di eccellenza (in capacità, in conoscenze e in serietà) esistenti nelle élite cittadine, perché, da che mondo è mondo, sono le virtù e le competenze delle élite a promuovere ed a realizzare il progresso delle città.
L'APPELLO Può essere questa una decisiva “chiamata alle armi” per i cagliaritani di buona volontà affinché, per la nostra città, possa spuntare, dopo le paure per le troppe minacciose nuvolaglie, un nuovo sole.
* Scrittore e storico cagliaritano, decano del consiglio pastorale