Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

“Pugni chiusi” e una lotta aperta

Fonte: L'Unione Sarda
6 ottobre 2011

Parla Fiorella Infascelli, a Cagliari per la prima del suo documentario sulla Vinyls
 

«Con i lavoratori un rapporto familiare, senza barriere»
L'obiettivo «di informare l'opinione pubblica della nostra protesta voleva arrivare il più lontano possibile. Abbiamo scelto la via mediatica e il film di Fiorella Infascelli ha potuto più di tutto». Il documentario Pugni chiusi , che racconta la lotta degli operai della Vinyls autoreclusi sull'Asinara, commuove il loro leader Pietro Marongiu. Ieri, nella conferenza stampa per annunciare la prima nazionale al Massimo di Cagliari, si capiva che la ferita è ancora aperta. Occupare un carcere non è stare in vacanza su un paradiso circondato dal mare. «Ma in un momento in cui le speranze si stanno affievolendo penso che la parola fine non è stata scritta».
Il film, vincitore della Mostra di Venezia nella sezione Controcampo italiano, nasce da un incontro a Gavoi tra la regista e gli operai della Vinyls. «Mi hanno emozionato e volevo raccontarli». Da qui una settimana sull'Isola: rientrata a Roma, Fiorella Infascelli ha capito che voleva girare molto altro. Ha trovato il produttore (Angelo Barbagallo) e poi il sostegno della Regione e dell'Umanitaria. «Aderendo a questo progetto abbiamo interpretato le politiche regionali: fare un servizio pubblico di promozione cinematografica che deve anche sostenere la memoria storica del presente», spiega il direttore della Cineteca di Cagliari Antonello Zanda. Che a Venezia aveva predetto la vittoria: «Mi sono convinto dopo i sei minuti di applausi e il calore del pubblico».
Il documentario è la cronaca drammatica della battaglia sindacale degli operai dello stabilimento di Porto Torres, i momenti di umanità e di grande solidarietà. «È stato importante psicologicamente avere un sostegno nella scelta di fare questo documentario. E spero ci sia di nuovo per il prossimo film che vorrei girare nel nord Sardegna: una storia vera di cui non voglio svelare niente, per scaramanzia», racconta la regista de La maschera .
Quando è ritornata all'Asinara per finire il lavoro non ha optato per una grossa troupe, ma per un operatore e una videocamera digitale, sulla scia dei film-maker statunitensi: «Ho preso una Canon 5D che, con pochissima luce, ha una resa molto cinematografica ed è molto piccola. Una particolarità necessaria perché volevo un rapporto familiare con i protagonisti e ho cercato di abbattere luci, microfoni e tutto ciò che poteva creare una barriera». Il suo documentario, presentato ieri notte a Cagliari, sarà visto in due sale di Roma e Milano e poi sulla tv pubblica. Ma probabilmente arriverà prima sugli schermi della Cina.
Soddisfazione per l'assessore regionale alla Cultura Sergio Milia, impegnato nei far decollare le potenzialità del cinema sardo con la Fondazione “Sardegna Film Commission”.
Manuela Vacca