Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Sugar Fornaciari, la voglia di radici diventa canto soul

Fonte: La Nuova Sardegna
27 luglio 2011


Il bluesman alla Fiera e a Serbariu ha proposto dal vivo un live energico e ricco di atmosfera

WALTER PORCEDDA

CAGLIARI. Più soul che blues. Forse sarà la voglia di radici, la sensazione di aver ritrovato il bandolo della matassa e anche un bisogno urgente di recuperare momenti intimi dimenticati o celati nel retrobottega dei propri sogni. Certo è che questo Zucchero di «Chocabeck» - ieri al parco minerario di Serbariu e lunedì nel piazzale della Fiera a Cagliari per l’organizzazione di S&M - colpisce al cuore riportando indietro le lancette del tempo. Già da quel titolo ripreso da una parola del dialetto emiliano. Quasi un motto esclamativo dal suono un po’ anglosassone che Adelmo Fornaciari ha fissato nella memoria da giovinetto. È il rumore del becco di un uccello quando batte a vuoto. Segno di fame. Perchè, racconta Sugar «mio padre, famiglia di comunisti, mi diceva, quando andavo da lui a dire “papà che c’è da mangiare?” lui rispondeva “dì ciocabeck”, ovvero nulla».
Torna a casa quindi il bluesman di Roncocesi, vicino Reggio Emilia. Ai giorni della prima infanzia e dell’adolescenza. A quell’Italia del primo dopoguerra dove il musicista ha visto «gente sola andare via sai/ tra le macerie e i sogni di chi spera» a quel «mio paese» dove «vedo falciare il grano a mani tese verso l’eternità». Parla di albe e granai. E di aria buona. «Un respiro d’aria nuova/ Chiudo gli occhi e sento di già/ che la stagione mia s’innova».
Si riparte da dove tutto è iniziato. Tra i campi e gli affetti più veri e sinceri. C’è una bella sensazione di pace, si respira la libertà e l’amore per le cose buone e semplici della vita in questa nuova collana di canzoni che Zucchero, capelli ricci mossi dal vento di maestrale, seduto su una specie di trono in velluto rosso, infila come perle una dopo l’altra. Quasi fosse un concerto umplugged, dall’aria confidenziale, in un palco sovraccarico di segni a cui il musicista ha abituato da tempo il suo pubblico, dal grande forziere che si apre sulla scena a una campana illuminata sospesa in alto sulla graticcia. A due enormi cornici senza specchio disposte ai lati del palcoscenico e dietro le spalle un falso colonnato che rimanda diapositive e filmati di paesaggi immaginari popolati di farfalle e cieli puliti.
È una prima parte intensa che incatena e strega per la leggera malinconia. Da «Un soffio caldo» alle altre «Il suono della domenica», «Soldati nella mia città», «Vedo nero» (dedicata all’amica fragile Amy Winehouse), «Oltre le rive», «Chocabeck», «Un uovo sodo», «Alla fine», «Spincinfrin boy» e il capolavoro «God Bless the Child».
Il resto del live, sostenuto da una band stratosferica (tra tutti il basso di Polo Jones e David Sancious alle tastiere con una bella sezione fiati) è quello che Sugar regala da sempre ai suoi fans. Un impeccabile show di respiro internazionale, molto pop con brani indimenticabili eseguiti sempre in modo scintillante, ripresi dai successi di sempre, dagli album «Oro, incenso & birra» a «Blue’s». Cioè da «Overdose d’amore» a «Dune mosse», «Libidine», «Con le mani» e i bis «Senza una donna», l’omaggio a Pavarotti in «Miserere» e «Per colpa di chi» che chiude con quattromila festanti in piedi a ballare dentro il recinto di questa nuova struttura collocata nel piazzale della Fiera. Su quell’asfalto povero circondato da palazzi grigi ci si muove a disagio e un po’ perduti, orfani di quello spazio meraviglioso che fu, polemiche a parte, l’anfiteatro romano. Spaesati e un po’ tristi, con un sentimento simile a quello che i tifosi del Cagliari provarono nel 1976 quando la squadra sprofondò in serie B.