Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Se l'Avaro è una vampira noir

Fonte: L'Unione Sarda
1 marzo 2011


TEATRO. Efficace e spiazzante il Molière diretto a Cagliari da Martinelli

Al Masssimo Ermanna Montanari diventa Arpagone

Inquietante e strisciante, patologica e ossessiva avarizia. Molière l'aveva portata in scena nel suo L'Avaro . Che sia un classico alla Calvino, qualcosa che non ha finito di dire ciò che ha da dire, lo dimostra anche l'allestimento rinunciatario di naturalismo ideato da Ermanna Montanari e Marco Martinelli (sua anche la regia), nella traduzione di Cesare Garboli.
L'Avaro del Teatro delle Albe ha sostanzialmente convinto il pubblico del Massimo di Cagliari. Certo, lo spettatore è spiazzato nel ritrovarsi a precipitare, a luci in sala, in un gioco nel gioco con tecnici-attori e costumisti-attori in scena a smontare, prendere misure, provare vesti mentre già ci si infila nei personaggi. E a constatare che l'avido Arpagone è affidato, in maniera efficacissima, alla Montanari. In questa produzione della compagnia ravennate - nel complesso felice - Arpagone è strepitoso.
Ermanna Montanari si fa demoniaca nella modulazione di voce, sempre incollata a un microfono amplificatore del potere (una volta era il bastone, lo scettro, ma oggi vince chi sovrasta nel verbo). Diventa perno di una messinscena noir, con atmosfere cromatiche angoscianti dettate dalle luci e dai bui installati da Francesco Catacchio ed Enrico Isola. E ci si domanda come si comporteranno quei personaggi spesso meccanici (un bravo cast formato da Loredana Antonelli, Alessandro Argnani, Luigi Dadina, Laura Dondoli, Luca Fagioli, Roberto Magnani, Michela Marangoni, Alice Protto, Massimiliano Rassu e Laura Redaelli) che ripetono gesti come fantocci e parole al limite di una sindrome di ecolalia.
Lo spazio di Edoardo Sanchi muta in continui cambi di scena a vista, con sottrazione e rimontaggio in quadri esteticamente non banali in cui viene rinvigorita l'incapacità di comunicazione dei protagonisti, costretti persino a danzare convulsamente su una pista da discoteca e vittime inconsapevoli di risate preregistrate. Mai compare invece la cassetta dei preziosi, altare del dio soldo. E se Arpagone ne è sacerdote, i figli e i servi ne sono schiavi meschini del culto. La sottomissione li costringe a essere se stessi e altro da sé. Ma in Molièere l'avidità è anche punta di un iceberg di un rapporto di collisione generazionale, dove padre e figlio gareggiano per il possesso dell'amore.
Eppure di fatto solo Arpagone, che con la sua disumanità ostacola le scelte di un matrimonio d'amore della sua stessa prole, è l'unico a essere coerente. Anselmo, deus ex machina interpretato da Martinelli, è piuttosto un rovescio della medaglia del taccagno, un buon padre di famiglia che concede tutto ciò che era stato prima negato nella tirannia dell'avarizia. Giungerà attraversando la platea e stracciando la quarta parete sino a quando le luci si spegneranno su un vampiresco Avaro, dopo quel lieto fine che asseconda il sentimento: un matrimonio non è felice senza amore.
MANUELA VACCA