Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

I nostri tunisini e la rivolta del pane

Fonte: La Nuova Sardegna
12 gennaio 2011


Paure e speranze della comunità locale per gli scontri in Nord Africa



BEN AMARA Il presidente Ben Ali ha cambiato la costituzione a suo uso e consumo. Troppe disuguaglianze sociali

ROBERTO PARACCHINI


CAGLIARI. Da Capo Teulada a Biserta, in Tunisia, la distanza è poco più di quella che c’è tra Cagliari e Sassari, e minore di quella che occorre per recarsi a Olbia. In questi giorni il Paese nord Africano è percorso da una protesta «del pane» che ha visto le forze dell’ordine sparare sulla folla. E la comunità tunisina presente in città vive con apprensione questi avvenimenti.
Le foto pubblicate sui giornali mostrano strade tunisine-campo di battaglia e raccontano di cariche della polizia che inseguono studenti e sparano ad altezza d’uomo. Più la decisione del governo di chiudere scuole e università. Dall’altra parte del mare, c’è una comunità tunisina di oltre trecento persone in città e ottocento in Sardegna. Radhouan Ben Amara vive nel capoluogo dell’isola con la famiglia dal 1986: è docente universitario ed è consigliere comunale e regionale della Sel. «Nel mio Paese la situazione è molto critica - precisa - le differenze tra un nord ricco e un sud povero si stanno accentuando. E il presidente Ben Ali, al potere dal 1987 con un colpo di Stato, ha modificato la costituzione a suo uso e consumo. Poi alle elezioni è sempre stato eletto». In questi ultimi anni «la Tunisia è cambiata, con una crescita dell’8,6 per cento - prosegue Ben Amara - ma la forbice delle disuguaglianze è aumentata».
Nella comunità tunisina locale, le attività economiche prevalenti sono la ristorazione, l’agricoltura e il commercio in generale. Poi vi sono stati gemellaggi tra Cagliari, Quartu e Monastir e altrettante cittadine del Paese nordafricano. Preoccupato per i parenti del suo paese natale è anche Rashid Saadi, che a Quartu ha aperto il ristorante «Le Jasmin», specializzato in cucina araba: «Il problema è che nel mio Paese non c’è via di mezzo, le diseguaglianze sociali sono molto forti. E poi non c’è democrazia. Come può esserci in un Paese dove il presidente viene eletto col novantanove per cento dei voti (nel 1989, 1994 e 1999 Ben Ali ha superato il 99 per cento; nel 2004 è «sceso» al 94,5 e nel 2009 all’89,65 - ndr). Certamente c’è qualche cosa che non funziona».
Inoltre, riprende Ben Amara «non dimentichiamo che Ben Ali è stato molto amico di Craxi e che il nostro ministro degli Esteri Franco Frattini prende la Tunisia come un esempio di stabilità. E poi si spara contro la folla che protesta soltanto per chiedere lavoro e un riequilibrio tra Sud e Nord». Ben Amara, tipico esponente di quella che chiama «cultura nomade» (prima di arrivare a Cagliari ha vissuto in Usa, Kuwait, Inghilterra e Francia), vorrebbe un maggior dialogo tra la Sardegna e i paesi del Nord Africa.
«La distanza che separa dallo straniero è quella che separa da noi stessi», spiega Chabaani Abberaznk, da vent’anni in Sardegna, presidente dell’associazione Tunisia-Sardegna, coordinatore del settore immigrazione per la Uil e segretario regionale dei precari per lo stesso sindacato. «Sì, in Tunisia - informa - la tensione sta aumentando, ma mi preoccupa anche il modo con cui viene drammatizzato in Occidente quello che sta capitando. La realtà è che c’è qualcuno che si infiltra nelle manifestazioni creando caos. La situazione è molto meno pericolosa di quello che descrivono i mezzi di informazione. La Tunisia non va confusa con l’Algeria».